Verità e depistaggi
Ecco cosa non torna nella "confessione" del carabiniere
C’è qualcosa che non torna nella "confessione" di Francesco Tedesco, il carabiniere che ha accusato i suoi due colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, di aver pestato violentemente Stefano Cucchi la notte fra il 15 e il 16 ottobre del 2009. C’è qualcosa che non torna perché, se anche le sue rivelazioni hanno convinto tutti dell’assoluta colpevolezza dei militari, la ricostruzione di quello che ormai è divenuto il supertestimone dell’inchiesta bis sulla morte del povero Cucchi, fa terribilmente a pugni con quanto sostenuto nel primo processo, sia in primo grado che in appello, dai pubblici ministeri, e appare del tutto anomala anche rispetto a una seconda circostanza: se Cucchi, come afferma oggi Tedesco, è stato pestato prima dell’udienza di convalida dell’arresto al Tribunale di Roma, com’è possibile che quel giorno, a piazzale Clodio, né il pm né il giudice notarono nulla? IL PESTAGGIO Ma riassumiamo i fatti come Tedesco, a nove anni di distanza e dopo aver sempre sostenuto che quella notte non accadde nulla, li ha raccontati al pubblico ministero Giovanni Musarò. Secondo il militare (la cui foto in costume fu pubblicata su Facebook e rilanciata da Ilaria Cucchi che lo accusava del pestaggio), la sera del 15 ottobre 2009, dopo aver fermato Cucchi mentre cedeva droga a un ragazzo, Emanuele Mancini, sul posto sopraggiunsero anche Di Bernardo e D’Alessandro. Eseguito il fermo, si diressero tutti presso la stazione dei carabinieri di Roma Appia dove ad attenderli c’era il comandante Roberto Mandolini (imputato nel processo per calunnia indiretta). Redatto il verbale d’arresto, Mandolini ordinò la perquisizione domiciliare a casa di Cucchi (eseguita da sei carabinieri). Il comandante restò in caserma a finire di scrivere i verbali. A seguito dell’esito negativo della perlustrazione presso l’abitazione di Cucchi... SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI