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Borsellino quater, per i giudici via D'Amelio fu "uno dei più gravi depistaggi della storia"

Davide Di Santo
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Nelle indagini sugli autori della strage di Via D'Amelio c'è stato "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana", con servitori infedeli dello Stato che convinsero piccoli criminali a trasformarsi in pentiti di Cosa nostra per costruire una falsa verità sull'attentato al giudice Paolo Borsellino. È quanto emerge dalle motivazioni della sentenza della Corte d'assise di Caltanissetta che nell'aprile 2017 ha concluso l'ultimo processo sulla strage del 19 luglio 1992. La Corte d'Assise, nelle 1865 pagine di motivazione depositate sabato sera, critica il team che indagò sulla strage sotto la guida di Arnaldo La Barbera, il funzionario di polizia morto per un tumore nel 2002. In particolare gli inquirenti avrebbero convinto il falso pentito Vincenzo Scarantino a fornire una versione distorta dell'esecuzione dell'attentato e avrebbero messo in atto tutta una serie di depistaggi. I magistrati avanzano anche il sospetto che si sia voluta occultare la "responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l'opera del magistrato". La Barbera, in particolare, sarebbe stato coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa che Borsellino usava come diario e che teneva nella sua borsa il giorno dell'attentato. La sentenza del 20 aprile 2017 ha inflitto l'ergastolo Salvino Madonia e Vittorio Tutino, accusati di strage, e 10 anni per calunnia ai falsi pentiti Francesco Andriotta e Calogero Pulci.

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