Bufale a 38 anni dalla strage
Anche gli Ufo nelle fake news su Ustica
Come ha scritto Alessandro Portelli in merito all’eccidio delle Fosse Ardeatine, vi sono eventi «diventati inconoscibili per essere stati troppo raccontati». Il disastro aereo occorso al DC9 Itavia il 27 giugno 1980, causa di 81 vittime, rientra indubbiamente tra questi. Più di un milione di pagine sono state scritte solo per quanto riguarda perizie e indagini processuali. Un evento la cui complessità tecnica, scientifica e storica avrebbe dovuto mettere in guardia anche il più prudente degli studiosi ma che non sembra affatto avere scoraggiato uno stuolo di esperti improvvisati, filologi dell’ultim’ora, cittadini-detective, teatranti e cineasti desiderosi di insegnare ad altri ciò che hanno “studiato” in merito al caso Ustica. Il risultato è che la frontiera tra caos e ordine, alla quale ogni complessità inevitabilmente rinvia, è stata abbattuta e sostituita con un flusso indistinto di informazioni confuse, parziali e contraddittorie diffuse presso la pubblica opinione sotto l’egida dell’impegno civile. La mole di fake news sorte attorno all’evento ha caratteri di straordinarietà: aerei libici, americani, italiani, francesi, israeliani e naturalmente gli UFO sono tra gli attori immaginati più di frequente per giustificare uno scenario di guerra aerea in quella sera del 1980. Poco importa che non esista alcuna evidenza tecnica della presenza certa di aerei in un’area di 80/90 km intorno al luogo dell’incidente o che la sentenza penale della Corte di Assise di Appello del 2005, giunta dopo un percorso processuale che ha prodotto un serrato dibattimento tra le parti in causa passando al vaglio ipotesi e perizie, abbia definito «fantapolitica o romanzo» gli «scenari di guerra, calda o fredda,» accostati all’evento. Quanto all’arma del delitto, certa stampa e gran parte del mondo dello spettacolo sembrano non avere dubbi: si è trattato di un missile (forse due) la cui deflagrazione ha provocato l’abbattimento del DC9. Poco importa che la deflagrazione di questo missile non abbia lasciato alcuna traccia sul relitto recuperato al 95%. In alternativa, è permesso propendere per l’ipotesi della “quasi collisione”, indicante un aereo che voleva viaggiare, non visto, in coda al DC9 e che, maldestramente, sorpassandolo, lo avrebbe destrutturato in quota con la propria scia. Poco importa che un evento del genere non sia tecnicamente credibile tanto da non essersi mai verificato in 115 anni di volo. Ciò che importa, invece, è non parlare di bomba, vero tabù del caso Ustica. Una realtà, questa, che rispecchia quella della fase istruttoria dell’inchiesta giudiziaria quando, dopo 19 anni di indagini, nel 1999 è stata emessa un’ordinanza-sentenza: ordinanza di rinvio a giudizio e sentenza di proscioglimento (e non sentenza sulle cause). Tale documento sostiene principalmente l’ipotesi di una quasi-collisione con altro aereo militare a motivazione dell’incidente nonostante il Collegio peritale del Giudice avesse firmato una perizia d’ufficio che sanciva l’ipotesi della bomba esplosa internamente al velivolo come unica causa tecnicamente sostenibile. In maniera speculare, la verità sancita dalla scienza è stata annullata e presa in ostaggio dalla fiction, dalla memorialistica, dalla giudiziaria, dalla narrativa teatrale e cinematografica dove cospirazioni, dietrologie e complotti slegati da qualsiasi confronto con il principio di realtà sono posti alla base di finti scoop e sempre nuovi misteri. C’è un “mistero”, però, di cui quasi nessuno sembra volere parlare. Si tratta del fatto che il racconto pubblico dell’evento in oggetto si è sempre fermato al 1999, con la libera e sovente errata interpretazione dell’ordinanza di rinvio a giudizio del Giudice istruttore. In tempi successivi, poi, a questa fonte sono state aggiunte le sentenze dei processi civili per i risarcimenti economici chiesti dalla compagnia Itavia, dagli eredi dell’avv. Davanzali – patron della compagnia aerea al tempo dell’incidente – e da diversi parenti delle vittime. Sembra essere una scelta precisa quella di chi, attraverso il cosiddetto “uso pubblico della storia”, ha operato un lavoro di “taglia e incolla” storiografico distorcendo o eliminando dal racconto degli eventi quanto avvenuto invece tra il 2000 e il 2007, con i processi penali in Corte di Assise, di Appello e di Cassazione. In questo modo, le ipotesi del missile, della quasi collisione con un altro aereo e quella della “battaglia area in tempo di pace” sono diventate le sole “verità” monolitiche utili a spiegare l’evento in oggetto tanto che, nell’esercitare il dovere di una ricerca non pregiudiziale, può capitare di essere accusati di oltraggiare la verità storica e giudiziaria qualora non ci si dovesse uniformare a tali ipotesi. Si pensi, ad esempio, alle polemiche sorte a seguito della messa in onda in Italia, da parte di Sky, del documentario del National Geographic del 2014 che, nel descrivere l’incidente del 1980, ha preferito dare spazio alla scienza e dunque all’ipotesi bomba anziché alle imbarazzanti divinazioni di certa stampa e di altre parti interessate. Senza considerare, naturalmente, che una verità storica sull’evento non è ancora stata scritta. Le sentenze civili non devono confondere su questo. La documentazione sulla quale si basano questi giudizi è fortemente lacunosa e in molti casi non sono altro che il frutto di trappole dialettiche, ritardi dell’avvocatura di Stato nel consegnare la documentazione che avrebbe ribaltato il verdetto del giudice e il risultato di meri giudicati interni che non hanno nulla a che vedere con l’obiettivo di raggiungere la verità. Scambiare una sentenza civile di risarcimento danni con la verità storica del caso Ustica è un errore marchiano e pericoloso. Per quanto riguarda l’ordinanza-sentenza del 1999, invece, è bene ricordare le riflessioni dell’ex Presidente della Commissione Stragi Giovanni Pellegrino: «a leggere le carte di Priore, non si riesce nemmeno a capire quanti fossero gli aerei che portano l’attacco […]. Di quale nazionalità erano? Per chi attaccavano? […]. Navighiamo in terreni di assoluta incertezza. Il rispetto per la verità ci dovrebbe portare a riconoscere questo, ma ciò a molti non piace». Prima di lui, anche la pubblica accusa aveva espresso alcune riserve in merito alle conclusioni dell’ordinanza-sentenza del 1999. Così il PM Giovanni Salvi: «[…] noi forse errando abbiamo concluso per l’ipotesi dell’essere ignoti gli autori del reato. Forse però l’ipotesi più corretta sarebbe stata quella del fatto non sussiste, perché nessun fatto è accertato». Insomma, 5.468 pagine, tante sono quelle dell’ordinanza-sentenza di Rosario Priore, per non accertare alcun fatto. Davvero troppo poco per poter pretendere, come ogni anno viene scompostamente urlato da televisioni e media in generale, che la verità ci è stata consegnata dal giudice Priore. È evidente che la complessità tecnica del caso e il contributo dei media nel diffondere fake news non possono essere le sole cause utili a spiegare il perché, a 38 anni dall’evento, non sappiamo ancora chi siano i responsabili. La politica ha giocato una parte importante in questa partita. Non solo, da quanto risulta ormai dai documenti disponibili, nel caso del cambio del giudice durante la fase istruttoria del processo (Priore sostituì il collega Bucarelli nel 1990), avvenuto in modi non consoni, ma anche preferendo dare spazio a vaghe richieste di verità e di giustizia tipiche di ogni anniversario piuttosto che alla necessità di rendere pubblici documenti preziosi per la ricerca storica come, ad esempio, il carteggio relativo agli anni 1979 e 1980 tra la nostra ambasciata a Beirut e i Servizi segreti a Roma. La corrispondenza tra Stefano Giovannone e i suoi superiori del Sismi è fondamentale per indagare in merito alla pista libico-araba i cui fili si intrecciano con quelli del caso Ustica. Documenti che però sono ancora coperti dal timbro «segreto» o «segretissimo». Va dato atto ad alcuni politici, guidati dall’ex Senatore Carlo Giovanardi, di avere dato vita a interpellanze volte a sostenere la necessità di rendere ormai pubblici quei documenti, pur con i doverosi omissis relativi a informazioni che potrebbero ledere alla sicurezza del nostro paese. Voci rimaste però, ad oggi, inascoltate. In vista del 38° anniversario della strage, il prossimo 27 giugno, sarebbe auspicabile che la politica iniziasse ad assumersi alcune responsabilità e che organi d’informazione, mondo dello spettacolo e intellettuali più o meno impegnati mettessero da parte ansia da prestazione e sensazionalismo in favore di un’informazione corretta. Perché il chiedere verità e il “fare memoria” non diventino un pretesto per dimenticare.