Registrò i colleghi per difendersi. No al licenziamento
Per la Suprema corte: "condotta legittima"
Registrare le conversazioni dei colleghi a loro insaputa è stata comunque una "condotta legittima" che non giustifica il licenziamento. Così la Cassazione ha dato ragione al dipendente di un ufficio privato, che, per difendersi da una contestazione disciplinare, aveva impugnato un registratore e, attraverso un ricorso, portato il suo caso prima davanti all'azienda con una chiavetta Usb contenente le registrazioni effettuate sul posto di lavoro, poi in Tribunale e ancora fino alla Suprema corte. La Corte d'appello de L'Aquila, ribaltando il giudizio di primo grado, aveva accolto il ricorso del lavoratore rilevando che, "pur potendo essere motivo di sanzione disciplinare - la sua condotta - in relazione al clima di tensione e sospetti venutosi a creare tra gli "ignari" colleghi dopo la rivelazione delle registrazioni - non era tale da integrare - un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali" da non consentire la "prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro". Per i giudici di secondo grado, infatti, sussisteva "l'ipotesi derogatoria", rispetto alla "necessità di acquisire il consenso dei soggetti privati interessati dalle registrazioni, in ragione delle finalità del lavoratore di documentare le problematiche esistenti sul posto di lavoro e di salvaguardare la propria posizione di fronte a contestazioni dell'azienda non proprio cristalline". In appello, dunque, l'uomo si era visto riconoscere un risarcimento pari a 15 mensilità. La Cassazione ha invece annullato con rinvio la decisione di secondo grado aprendo addirittura alla possibile reintegra nel posto di lavoro: quella condotta "pertinente alla tesi difensiva del lavoratore e non eccedente le sue finalità non poteva in alcun modo integrare non solo l'illecito penale ma anche quello disciplinare", perché rispondeva alle "necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto".