delitto di macerata
"Oseghale abusò di Pamela", la Procura contesta anche il reato di violenza sessuale
Ha costretto Pamela Mastropietro ad avere un rapporto sessuale completo, approfittando del suo stato di minorità psicofisica dovuta all'assunzione di eroina. È questa la nuova accusa contestata dalla Procura di Macerata nei confronti di Innocent Oseghale, uno dei tre nigeriani accusati di aver ucciso e fatto a pezzi il corpo della diciottenne romana. Lo avrebbe dimostrato il ritrovamento da parte dei carabinieri dei Ris di tracce biologiche sul corpo della vittima. Tuttavia per il gip del Tribunale, chiamato a convalidare la nuova richiesta di misura cautelare del procuratore capo Giovanni Giorgio, non ci sono prove sufficienti a dimostrare questo abuso. Secondo il giudice Giovanni Manzoni ciò che avrebbe portato Oseghale a uccidere la ragazza è la paura che i medici e le forze dell'ordine avessero potuto trovarla in quello stato di malessere fisico e addebitare a lui l'utilizzo di sostanze stupefacenti. Per questo nella nuova misura cautelare notificata in carcere al proprietario dell'appartamento di via Spalato 124, dove la vittima è stata assassinata e smembrata, viene contestato il reato di omicidio. Inizialmente il gip non aveva convalidato questa accusa, perché, il primo medico legale chiamato dai pm a individuare la causa della morte della diciottenne romana, aveva lasciato aperta sia l'ipotesi dell'overdose che quella dell'assassino. La seconda autopsia, invece, ha stabilito con chiarezza che Pamela Matropietro "era ancora a cuore battente", cioè viva, quando le sono state sferrate due pugnalate al fegato. Quel che è certo - e che rischia di avere un peso determinante sul prosieguo dell'inchiesta - è che sul corpo della giovane non è stata trovata alcuna traccia degli altri due arrestati: Lucky Desmond, 22 anni, e Awelima Lucky, 27 anni. A questo punto, per dimostrare il loro presunto coinvolgimento nell'omicidio e nel successivo smembramento del cadavere, diventa fondamentale un ulteriore accertamento che i Ris hanno eseguito sugli indumenti dei due nigeriani finiti in carcere il 9 febbraio, pochi giorni dopo il fermo del loro connazionale. Sui vestiti di Desmond (trovati nell'abitazione in cui viveva) e su quelli di Awelima (gettati in un bidone prima di fuggire da Macerata) sono state trovate infatti tracce ematiche. La comparazione con il dna della diciottenne romana rivelerà se quel sangue è suo. Se così fosse, verrebbe dimostrato che entrambi erano presenti all'atroce delitto: non solo come spettatori, ma come parti attive.