21 arresti nel Trapanese
Smantellata la rete dei "pizzini" di Matteo Messina Denaro. Dicevano: "È come Padre Pio"
Nuovo duro colpo al clan del boss latitante Matteo Messina Denaro. Dalle prime ore dell'alba è in corso una imponente operazione di Carabinieri, Polizia e Dia, che stanno eseguendo nel trapanese un provvedimento di fermo nei confronti di 21 persone emesso dalla Dda di Palermo (il 22esimo provvedimento non è stato eseguito perché riguarda proprio Messina Denaro). L'operazione ha colpito il clan di presunti fiancheggiatori della primula rossa, latitante dal 1993.. Sono ritenute affiliate alle famiglie mafiose di Castelvetrano, Campobello di Mazara e Partanna. Sono indagati per associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, detenzione di armi e intestazione fittizia di beni. "Matteo (Messina Denaro ndr) è come Padre Pio", è una delle intercettazioni captate dalle microspie della Dda di Palermo. Trapani operazione congiunta con #CC per 22 persone appartenenti a sodalizio mafioso capeggiato dal latitante Matteo Messina Denaro per controllo economico del territorio Individuate la rete che smistava i pizzini usati dal latitante per impartire le disposizioni pic.twitter.com/l5yqh9WtJC— Polizia di Stato (@poliziadistato) 19 aprile 2018 Ci sono anche due cognati del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro tra le persone finita in carcere nell'operazione antimafia eseguita all'alba di oggi nel trapanese da Carabinieri, Polizia e Dia. Si tratta di Gaspare Como e Rosario Allegra, i mariti di Bice e Giovanna Messina Denaro. Secondo gli inquirenti sarebbero stati proprio loro a organizzare la latitanza della primula rossa ricercata dal 1993. L'operazione "ha confermato il perdurante ruolo apicale di Matteo Messina Denaro della provincia mafiosa trapanese e quello di reggente del mandamento di Castelvetrano assunto da un cognato, in conseguenza dell'arresto di altri membri del circuito familiare". E' quanto dicono gli investigatori che hanno coordinato l'inchiesta. "Oltre ad accertare il capillare controllo del territorio esercitato da Cosa nostra ed il sistematico ricorso all'intimidazione per infiltrare il tessuto economico locale", hanno "consentito di individuare la rete relazionale funzionale allo smistamento dei "pizzini" con i quali il latitante impartiva le disposizioni ai suoi sodali". Ne sono convinti gli inquirenti che hanno condotto l'indagine 'Anno zero'.