Estradato dalla Spagna il boss romano Pellegrinetti
Dalla Banda della Magliana a quella dei Marsigliesi. Ecco chi è
Considerato uno dei maggior broker mondiali della droga e tra i più pericolosi narcotrafficanti, Fausto Pellegrinetti, latitante romano di 76 anni, è rientrato oggi pomeriggio in Italia dopo l'ok spagnolo all'estradizione. Pellegrinetti era stato arrestato a gennaio ad Alicante grazie ad una sofisticata indagine durata due anni che ha messo la parola fine a una carriera criminale trentennale che gli aveva consentito di allacciare stretti rapporti con l'asse della droga operante tra Italia, Brasile e Spagna. Il boss era stato oggetto di un'articolata investigazione (operazione "Last Try") condotta dalla Sezione Antidroga della Squadra Mobile di Roma e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia capitolina, che aveva riguardato le condotte criminose di alcuni "reduci" della Banda della Magliana. Ma Pellegrinetti era riuscito a sottrarsi alla cattura, facendo perdere le sue tracce nel '93 da una clinica romana, "Belvedere Mondello", dove fu ricoverato mentre era in regime di arresti domiciliari. Si sarebbe dunque recato a Marbella per poi spostarsi ad Alicante, temendo di essere riconosciuto nonostante documenti falsi e molti alias (Enrico Longo, Franco Pennello, Giulio Dedonese) che gli avevano garantito l'anonimato per ben 15 anni. In Italia deve scontare una condanna definitiva a ben 13 anni e cinque mesi di reclusione (8 anni per aver acquistato 550 kg di cocaina (nel '92, fatti avvenuti tra Roma e Livorno) e 7 anni e 11 mesi per aver riciclato 6 miliardi di lire, provento del narcotraffico tra il '96 e il '98). L'arresto del superlatitante - come ricordato dalla questura di Roma - è avvenuto in un attico super lusso in via Paseo del Pintor Fernando Soria, al centro di Alicante, grazie a un blitz congiunto di investigatori composti da agenti della VII Sezione Narcotici Squadra Mobile di Roma, dello SCO e della Polizia iberica, quest'ultima attivata dall'Ufficio dell'esperto per la sicurezza della DCPP-SCIP di Roma, appartenente alla DCSA del Ministero dell'Interno. Il pool di investigatori ha iniziato le indagini partendo proprio da Roma, proseguite in Spagna con appostamenti e pedinamenti che hanno svelato la rete di protezione del latitante e che ha portato direttamente a lui. CURRICULUM CRIMINALE Fausto Pellegrinetti vanta legami con il clan "dei Marsigliesi", capeggiato da Berenguer, Bellicini e Bergamelli. Nel 1977 fu catturato in un residence sull'Aurelia dagli uomini della Squadra Mobile di Roma, assieme ad alcuni complici. Nel 1980, insieme al suo gruppo del Tufello, incontrò in un ristorante di Trastevere Danilo Abbruciati, Edoardo Toscano e Antonio Mancini, della "Banda della Magliana". "Il gruppo del Tufello aveva condiviso con Abbruciati - spiega la questura - l'esperienza delle "batterie" ed erano stati con lui imputati di rapine e sequestri di persona. Nel corso dell'incontro, il gruppo della Magliana sondò le intenzioni dei vecchi malavitosi del Tufello cercando di impadronirsi del controllo del traffico degli stupefacenti. Il gruppo non condivise tale proposta ma istituirono un legame sulle attività del toto nero, ai sequestri di persona, alle rapine e alle estorsioni. Nel medesimo incontro si parlò di attentare alla vita del giudice Imposimato (come riporta la sentenza sulla Banda della Magliana in base alle dichiarazioni rese da Antonio Mancini, detto Accattone). Nel 1992 da un'indagine della DEA e dello SCO, le autorità italiane, seguendo il flusso del denaro tra Nord America, Europa e Colombia, arrivano a Pellegrinetti, che viveva in latitanza in via Roccaraso, a Roma. La svolta - dice ancora la ricostruzione - arriva in occasione dell'ultimo "Pick Up", ovvero l'ultimo prelievo di denaro sporco, quando Pellegrinetti finisce in manette a Roma e viene sequestrato un milione e mezzo di dollari in contanti". Si arriva così al periodo 1996-98 e alla "operazione Malocchio". "A capo dell'organizzazione - ricostruiscono ancora gli investigatori - risulta un triumvirato composto da Primo Ferraresi, Giuseppe D'Alessandri e Pellegrinetti che dalla zona di Malaga, dove vivevano in clandestinità, gestivano due business separati solo in apparenza: l'import-export della cocaina e il riciclaggio. Sulla Capitale si riversava periodicamente un vero e proprio fiume di cocaina: 5 tonnellate, smerciate sul mercato romano e la cifra enorme di 55 milioni di dollari Usa riciclata in un ventaglio di attività diversificate. Pellegrinetti era considerato a capo dell'organizzazione, con il ruolo di leader indiscusso e regista di tutte le strategie espresse, in ciò collaborato da Ferraresi, sia nel campo del narcotraffico che in quello del riciclaggio, attraverso gli associati". La simbiosi tra le due componenti, "la prima ad altissima caratura criminale e la seconda di riconosciuta professionalità imprenditoriale, evidenziava - dice ancora la Questura disegnando il profilo di Pellegrinetti - l'estrema pericolosità sociale del sodalizio, frutto anche dei solidi legami intrattenuti con consorterie calabresi (famiglia Barbaro-Papalia) e campane (clan Senese), e dalle ingenti disponibilità finanziarie dimostrate dall'organizzazione capeggiata dallo stesso Pellegrinetti. Infatti, mediante l'immissione sul mercato d'ingenti capitali provento di traffici illeciti, quindi privi di costi, l'organizzazione ha prodotto effetti discorsivi dell'economia legale in alcuni settori commerciali particolarmente sensibili giungendo, in taluni casi, ad alterare i prezzi di mercato dei prodotti commercializzati dalle società del gruppo (metalli e frutta), nonché ad inserirsi in settori ad "altissimo rischio" quale quello ludico, nello specifico le slot machine".