in prima linea
Nemmeno l’infarto ferma il poliziotto corteggiato da Salvini
Sarà l’accento romagnolo, sarà la testardaggine, l’iperattività. Sarà che sta sempre a duemila, come si dice a Roma, ma Gianni Tonelli non somiglia per niente al sindacalista vecchio stampo. Niente di più lontano dal classico uomo un po’ sovrappeso, intrappolato dietro alla trincea mentre altri combattono per lui la battaglia che lo farà diventare grande. Agli antipodi dell’"armiamoci e partite", il segretario generale del Sap in questi anni si è fatto conoscere da tutti. La pancia non la ha, forse pure "grazie" ai suoi scioperi della fame; prende più treni che caffè, corre da una parte all’altra dello Stivale come se i chilometri fossero caselle del Monopoli e risponde sempre a tutti, a qualsiasi ora. Ieri, mentre a casa approfittava della lunga telefonata per non farsi incantare dagli odori della cucina (sta rifiutando il cibo dopo il provvedimento di sospensione deciso nei suoi confronti dal capo della Polizia Gabrielli ndr), festeggiava i 34 anni passati in divisa. "Sono entrato come ausiliario il 20 gennaio del 1984 e dopo due anni mi mandarono a Ferrara, segnando forse la mia sorte - esordisce - La caserma era così fatiscente che dormivo con i piccioni. Fu allora che, entrato in Polizia per salvare il mondo, mi convinsi che prima dovevo salvare la Polizia". Amato e odiato in parti uguali, non è sicuramente il Giolitti de’ noantri. Tutt’altro. È uno che dà fastidio, che non sta mai zitto, che fa le pulci a tutti e le farà pure, assicura, al politico che potrebbe candidarlo, Matteo Salvini. Il compromesso non fa di lui un sindacalista acchiappa-tessere, ma la battaglia l’ha nel sangue e se si pensa che il suo primo ricorso lo presentò, vincendo, a 24 anni già poliziotto, si capisce bene il motivo della sua cocciutaggine. Che testardo Tonelli, "pesante" avran pensato in molti, ma sicuramente un uomo che non ti scivola via davanti tanto facilmente. Scalpita, batte i piedi e i pugni e finché non ottiene ciò che s’è prefissato non molla. "Se ne frega sempre", prendendo in prestito una frase del suo conterraneo Vasco Rossi. La follia che lo guida non spiana tutti gli ostacoli, anzi. "Molte volte mi prende lo sconforto - ammette - ma se mi guardo indietro vedo quanto ho potuto interagire in positivo e quanto altrimenti sarebbe stato peggio". Battaglie sempre concrete le sue, dall’equipaggiamento da rivedere, ai giubbetti antiproiettile scaduti, alle armi in dotazione vecchie di 40 anni, fino alle telecamere sui caschi, per citarne alcune. Già, le telecamere. Quanti dubbi sulle eventuali responsabilità in uno scontro durante una carica potrebbero risolvere? Quanti Carlo Giuliani in meno? E invece no. Niente telecamere. Un po’ come la Var dell’ordine pubblico, l’occhio elettronico tarda ad aprirsi. Perché le strumentalizzazioni di un determinato fatto, sulla pelle del povero Cristo del momento, fanno il gioco delle parti. E a tutti piace essere giudici. O arbitri, va da sé. "A cavallo del 2008 mi presi due mesi sabbatici perché avevo quasi deciso di cambiare mestiere. Si aveva l’impressione, a volte, di lottare contro i mulini a vento, ma i momenti di abbattimento non hanno prevalso sulla mia vocazione. E sono tornato". Ha perso, ma precisa non in maniera definitiva, la battaglia logorante contro l’individualismo di alcuni colleghi, sindacati (ca va sans dire). Ma ha stravinto, assicura, sull’aver condizionato gli ultimi due governi su questioni come gli alfanumerici, riuscendo a rendere consapevoli la comunità politica e i cittadini che esiste un partito dell’antipolizia (che potrebbe ritrovarsi a fronteggiare più di un grattacapo, nel caso Salvini diventi ministro dell’Interno). "Non un movimento organizzato, ma un modo di essere, una filosofia figlia della Guerra Fredda e di sentimenti anarchici che vede nelle divise dei soggetti negativi da odiare" chiarisce Tonelli. Nemico per eccellenza di famiglie come Cucchi, Uva e Narducci, ha nel cassetto anche denunce da due magistrati. Con il segretario generale del Coisp, Franco Maccari, è il paladino delle divise e il maggior critico della sua stessa Amministrazione che "per non farsi morsicare dal partito dell’antipolizia, preferisce accarezzarlo, facendo carriera sulle spalle di chi lavora in strada". Si è beccato due procedimenti disciplinari per essere andato in televisione indossando una maglietta con la scritta "I love Polizia", accusato di aver indotto in errore la gente per aver parlato in veste ufficiale come Polizia di Stato. Rompe le scatole, Tonelli, e punire lui può essere un monito per tutti. "I caschi, i gap, gli M12 sono rimasti com’erano - conferma il segretario del Sap - e ancora non si spara su bersagli in movimento. L’amministrazione temeva problemi ed era indispensabile reprimere eventuali levate di scudi anche per evitare di assumersi responsabilità ineludibili nel caso in cui anche in Italia si fossero verificati attentati come il Bataclan". Oggi, come detto, Gianni Tonelli è alle prese con un nuovo sciopero della fame. Nonostante i problemi di salute e un infarto che quasi l’ha mandato al Creatore. È stato sospeso dopo aver scritto una lettera aperta a Franco Gabrielli lamentando la presenza di Stefano Gambacurta, capo di gabinetto del prefetto, in un video del MoVimento 5 Stelle in cui si illustrava uno dei punti del programma grillino, quello relativo alla riorganizzazione delle forze di polizia. "Sì, ma dei problemi di salute vorrei non parlare - dice - Non voglio mica far la figura del martire, e di certo non farò a chi mi ostacola il favore di passare a miglior vita".