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Yara, tutte le tappe: il Dna, la caccia a Ignoto 1, l'ergastolo a Bossetti in primo grado

Davide Di Santo
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Tredici anni, lunghi capelli castani e un sorriso timido, non ancora attraversato dalle curiosità e dalle inquitudini dell'adolescenza. È questa l'immagine di Yara Gambirasio che da sette anni tutti hanno imparato a conoscere. La sua scomparsa e la sua triste fine hanno tenuto con il fiato sospeso e commosso milioni di italiani. La scomparsa Nel tardo pomeriggio del 26 novembre 2010 la 13enne esce dalla palestra di Brembate di Sopra, centro di 8mila abitanti in provincia di Bergamo, dove quasi tutti i giorni si allena e prepara le gare di ginnastica ritmica. Quel giorno porta solo uno stereo alla polisportiva, non si esercita. È in ritardo ma deve percorrere solo poche centinaia di metri per arrivare a casa. Una volta uscita dal campo sportivo, però, di lei si perdono le tracce. Unico indizio, il suo cellulare che - come testimonia la mamma Maura, allarmata da quel ritardo molto insolito - suona diverse volte prima di risultare staccato. I carabinieri, fin dai primi momenti, vedono che il cellulare ha agganciato la cella di Mapello, paese poco distante da Brembate ma in direzione opposta rispetto a casa Gambirasio. Che cosa sia successo esattamente, nessuno riesce a ricostruirlo con certezza. Per il sostituto Pg di Brescia Marco Mantovani, la ragazzina potrebbe aver accettato una passaggio da Bossetti, che forse conosceva di vista, e mentre saliva sul furgone il cellulare le sarebbe caduto a terra. Proprio per questo nelle tasche del giaccone che indossava quella sera sono stati trovati la batteria e la sim, ma non il suo smartphone. Anche la sua, però, è una ricostruzione. Il campo di Chignolo d'Isola Il corpo di Yara viene ritrovato solo tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, in un campo di Chignolo d'Isola (Bergamo), poco lontano dall'ingresso della discoteca "Sabbie Mobili", zona dove qualche tempo prima era stato ucciso un ragazzo. Nessuno dei frequentatori del locale, dei dipendenti delle aziende di quella via o dei tanti che vanno lì a correre o a portare i cani si era accorto di nulla. A trovare la ragazzina, semi nascosta sotto degli arbusti, è un appassionato di aeromodelli: il suo aeroplanino è precipitato a meno di un metro dal corpo. L'uomo subito chiama i carabinieri e al loro arrivo non è semplice ritrovare il punto esatto dove si trova il corpo. Il corpo di Yara L'autopsia rivela segni inferti con una spranga e ferite da arma da taglio, soprattutto al tronco e sulla schiena di Yara, dove l'aggressore ha tracciato un sorta di X, oltre ad una profonda ferita alla testa. Secondo i medici legali, però, nessuno di quei colpi è stato fatale: Yara è morta di freddo e di stenti stringendo in una mano un ciuffetto d'erba della stessa specie di quella del campo di Chignolo. Segnale, per la Procura di Bergamo che ha coordinato le indagini e per il Pg di Brescia, che Yara è morta proprio lì nelle ore successive al rapimento. Tesi che i difensori del muratore di Mapello cercano di smontare, sostenendo che la ragazzina sia stata uccisa altrove e poi sia stata rivestita e portata in quel campo poco prima del ritrovamento. Per dimostrarlo depositano anche, tra i motivi aggiuntivi d'appello, una foto satellitare del campo del 24 gennaio 2011, nella quale non si vedrebbe traccia della piccola ginnasta. Prova "smontata" da accusa e parte civile, che fanno notare come la scala dell'immagine, scattata da lontano, non consenta nemmeno di distinguere "il modello delle auto". Impossibile, dunque, vedere un corpo, diventato scuro, seminascosto da arbusti scuri. Il Dna Proprio sui vestiti di Yara viene trovata la prova "regina", quella del Dna. Sui leggings e sugli slip della 13enne, infatti, in corrispondenza con una ferita, i carabinieri del Ris di Parma isolano una traccia biologica, che catalogano come "Ignoto 1". E inizia una ricerca senza precedenti, che durerà oltre tre anni. Gli investigatori decidono di confrontare il Dna di "Ignoto 1" con ben 18mila campioni genetici prelevati dagli abitanti dei comuni vicini, nell'Isola bergamasca. La svolta avviene quando, confrontando il Dna di Ignoto 1 con quello dei clienti della discoteca Sabbie Mobil viene individuato Pierpaolo Guerinoni, figlio di Giuseppe. Il suo profilo genetico e quello del fratello sono molto simili a quello di Ignoto 1 ma non identici. Circostanza che porta a pensare che il killer sia anche lui figlio dell'autista di autobus di Gorno morto nel 1999 (il suo corpo viene riesumato) ma non sia un figlio legittimo. Ed è per questo che le indagini si concentrano sulle 53 donne con cui Giuseppe Guerinoni negli anni potrebbe aver avuto una relazione. Da qui a individuare Ester Arzuffi come la madre dell'aggressore, il passo è breve. La certezza che si tratti proprio di Massimo Giuseppe Bossetti, però, arriva solo il 15 giugno 2014, quando il carpentiere, fermato per un finto controllo stradale, è stato sottoposto all'alcol test. Il campione di saliva prelevato in quell'occasione corrisponde perfettamente con quello trovato sui vestiti della ragazzina. Così il giorno successivo Bossetti viene arrestato nel cantiere in cui lavora e solo nella caserma dei carabinieri scopre di non essere figlio di Giovanni Bossetti, che fino a quel giorno ha sempre considerato suo padre. Nuova perizia I legali di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, chiedono fin dai primi momenti nuovi accertamenti sul Dna. Per i difensori, infatti, le analisi sarebbero state eseguite nei laboratori del Ris di Parma con kit scaduti e i campioni sarebbero stati contaminati. La richiesta di una nuova perizia, però, finora si è scontrata contro il no della Cassazione, che ha ritenuto quegli accertamenti corretti. Questo non ha fermato i due avvocati, che hanno rinnovato la richiesta di perizia anche davanti ai giudici della Corte d'Assise e d'Appello di Brescia, sottolineando ancora una volta l'assenza "del tutto innaturale" del Dna mitocondrale nel campione prelevato dal corpo di Yara. Le altre prove L'anno che Bossetti ha trascorso in cella prima dell'inizio del processo di primo grado davanti alla Corte d'Assise di Bergamo, è stato utilizzato dagli investigatori per scandagliare i suoi movimenti, le sue abitudini e verificare il suo alibi. Tra gli indizi raccolti a carico del muratore, anche il passaggio ripetuto di un furgone chiaro, modello Iveco Daily vicino alla palestra la sera della scomparsa di Yara. Per i difensori quel mezzo non è quello di Bossetti, che in ogni caso passava quasi sempre da Brembate per tornare a casa e spesso si fermava all'edicola vicino al centro sportivo a comprare figurine e regali per i suoi figli. L'accusa, invece, ha sempre ritenuto la presenza di quel furgone da muratore un indizio importante. Senza contare che le fibre trovate sugli abiti di Yara sono "compatibili" con quelle del mezzo di Bossetti e che addosso alla ragazzina sono state trovate tracce di calce e sferette metalliche, residuo della lavorazione nei cantieri edili. Anche sul mezzo di Bossetti c'erano delle sferette metalliche, anche se il metallo aveva un'altra lega rispetto alle tracce trovate sulla 13enne. Anche il telefonino di Bossetti quella sera risulta acceso ma inattivo e aggancia una cella che copre sia la sua casa, a Mapello, che la zona dove abitano i Gambirasio. Il primo grado Il 26 febbraio 2015 il pm di Bergamo Letizia Ruggeri chiude ufficialmente le indagini a carico di Bossetti e sollecita il rinvio a giudizio. La difesa tenta di percorrere tutte le strade possibili per ottenere la scarcerazione del muratore 45enne, ma sia il Riesame che la Cassazione respingono le loro istanze. La battaglia si è spostata così nell'aula della Corte d'Assise di Bergamo, dove i difensori di Bossetti hanno chiamato decine di testimoni e proposto diverse ipotesi alternative per l'omicidio di Yara. Tutto inutile. Il 1 luglio del 2016 Bossetti è stato condannato all'ergastolo dalla Corte d'Assise di Bergamo. Al carpentiere di Mapello è stata anche revocata la patria potestà del tre figli. Il secondo grado Il 30 giugno 2017 è iniziato il processo d'appello davanti alla Corte d'Assise e d'Appello di Brescia. I legali di Bossetti, ancora una volta, si sono battuti per chiedere una perizia sul Dna. Per gli avvocato Salvagni e Camporini, infatti, le analisi del Ris conterrebbero almeno 260 anomalie rispetto alle regole previste dalla comunità scientifica. Bossetti, che da sempre si proclama innocente, prima della sentenza ha voluto ancora una volta ribadire che "non è un assassino". "Yara poteva essere mia figlia, la figlia di tutti noi, neanche un animale avrebbe usato tanta crudeltà", ha aggiunto.

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