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Ergastolo per il killer di Bruno Caccia, il procuratore di Torino ucciso 35 anni fa

Davide Di Santo
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Ergastolo a Rocco Schirripa, giudicato esecutore materiale dell'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, assassinato dalla 'ndrangheta nel 1983 nel capoluogo piemontese. Lo ha deciso la Corte d'Assise di Milano al termine del processo a carico dell'ex panettiere, arrestato nel dicembre 2015 a oltre 30 anni di distanza dai fatti. Per l'omicidio è stato già condannato come mandante Domenico Belfiore, dell'omonimo clan. La sentenza, letta dal presidente della Corte, Ilvio Mannucci Pacini, arriva alle 17, al termine del processo che per un vizio procedurale è dovuto iniziare da capo nei mesi scorsi. In aula l'imputato ascolta in silenzio e in silenzio viene scortato nuovamente in carcere. Lui si è sempre detto innocente e anche in mattinata, al termine del dibattimento, si è definito una "vittima sacrificale" perfetta in quanto "pregiudicato, terrone e compare di Belfiore". Ma per l'accusa, rappresentata in aula dal pm Marcello Tatangelo, dubbi non ce n'erano: Schirripa "è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio". Per il pubblico ministero non è certo se sia stato l'imputato a premere il grilletto contro quel magistrato ritenuto incorruttibile e inavvicinabile. Certo però è, per l'accusa, la sua presenza nel commando. Secondo il pm, Caccia fu assassinato per "il suo estremo rigore" e per l'interesse verso le "attività finanziarie" del clan calabrese che impedivano all'organizzazione di fare affari. Ergastolo ma non solo. La Corte ha riconosciuto una provvisionale di 300.000 euro a ciascuno dei tre figli di Caccia e di 50.000 euro ai due nipoti. Riconosciuti anche i risarcimenti, da quantificarsi però in sede civile, alle altre parti tra le quali il Comune di Torino, la Regione Piemonte, la Presidenza del consiglio e il ministero della Giustizia. In aula, ad assistere alla lettura del dispositivo, c'erano anche le due figlie della vittima, Paola e Cristina Caccia, alla fine soddisfatte dal verdetto che considerano solo un inizio perché, affermano "ancora non è stata fatta tutta giustizia". Per loro "ci sono ancora tante cose da indagare e verità da aggiungere".

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