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Strage di Brescia, Tramonte condannato all'ergastolo fuggito e arrestato a Fatima

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Katia Perrini
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A poche ore dalla verità giudiziaria definitiva sulla strage di piazza della Loggia, uno dei due condannati, Maurizio Tramonte, ha fatto perdere le sue tracce rischiando di complicare l'epilogo atteso da 43 anni. "Irreperibile" per il suo avvocato, Marco Agosti, e anche per la Procura Generale di Milano e i carabinieri del Ros di Brescia, che si occupano dell'esecuzione della sentenza di condanna all'ergastolo per Tramonte e per Carlo Maria Maggi. Mentre al "regista" della bomba, ottantenne in sedia a rotelle con una salute molto precaria, è stato notificato il provvedimento nella sua abitazione di Venezia, di Tramonte, 65 anni, per qualche ora non si è saputo nulla. Dopo ricerche concitate e su segnalazione delle autorità italiane, la Polizia portoghese lo ha rintracciato a Fatima per consegnargli il mandato di arresto europeo. Devoto del culto mariano, forse si era recato nella località spirituale per chiedere la grazia, dopo avere preso qualche giorno di ferie dalla società di consulenze immobiliari per cui lavora a Brescia. O forse la prospettiva del carcere senza fine lo ha spinto a cercare una via di fuga. "L'ho sentito l'ultima volta qualche giorno fa - spiega il suo legale - Che stato d'animo aveva? Quello di uno che può essere condannato a un ergastolo". Il 28 maggio scorso, in occasione dell'anniversario della strage che provocò 8 morti e 102 feriti, Tramonte aveva detto ai giornalisti di essere "sicuro" della sua assoluzione. E invece, ieri sera, dopo 4 ore di camera di consiglio, la Cassazione ha confermato il verdetto dell'appello - bis che si era celebrato a Milano nel 2014. La verità consegnata alla storia da una lunga e tormentata ricerca nelle aule di giustizia è che quella strage fu, come scrivono i giudici dell'appello - bis, "sicuramente riconducibile alla destra eversiva".  E due dei responsabili hanno ora e per sempre il volto di Carlo Maria Maggi, capo della formazione neofascista Ordine Nuovo in Veneto nelle vesti di "organizzatore", e Maurizio Tramonte, la cosiddetta "Fonte Tritone" a lungo in bilico tra i servizi segreti e gli ambienti eversivi di estrema destra, perché "partecipò alle riunioni in cui l'attentato veniva organizzato offrendo la sua disponibilità a collocare l'ordigno" esploso nel corso di una manifestazione antifascista. "L'esito premia l'impegno della Procura di Brescia che non è mai venuto meno in tanti anni", commenta il magistrato Guido Salvini che da giudice istruttore negli anni Novanta raccolse per primo le confidenze della Fonte Tritone. Difficile che Maggi vada in carcere. Viste le sue condizioni di salute, potrebbe essere messo ai domiciliari oppure nel reparto ospedaliero di un istituto penitenziario. Tramonte invece passerà l'ultima parte della sua vita dietro le sbarre. Ha ancora una speranza Manlio Milani, che quel giorno perse la moglie e da anni è inesauribile presidente dell'associazione familiari delle vittime. Che i due colpevoli "parlino e svelino i misteri di quegli anni". 

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