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Rosy Bindi: "Totò Riina curato meglio che a casa. Resta il capo di Cosa Nostra"

Davide Di Santo
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Totò Riina resta sempre il capo di Cosa Nostra e le cure somministrate oggi sono migliori di quelle che riceverebbe ai domiciliari. E' il risultato del sopralluogo a Parma di Rosy Bindi presidente della commissione bicamerale Antimafia. "Riina conserva immutata sua pericolosità concreta e attuale" mostrando di essere "interessato alle vicende processuali" che lo riguardano, ha detto la Bindi, in una comunicazione a seguito della sua visita all'ospedale di Parma, dove il boss mafioso è ospitato. Per la presidente dell'antimafia, va inoltre ricordato che in mancanza di "nuove leadership (nella mafia, ndr) i soggetti che tornano in libertà, riassumono i ruoli precedenti". "Riina - ha concluso Bindi - resta il capo di cosa nostra per le stesse regole mafiose e non perché lo Stato ha vinto". Nel corso del sopralluogo svolto ieri presso l'Ospedale Maggiore di Parma, dove Riina è ricoverato in regime di 41 bis, "si è potuto constatare che il detenuto - con il quale si è preferito non interloquire - si trovava seduto su una sedia a rotelle, in buon ordine e con uno sguardo vigile. La camera dove si trova è di confortevoli dimensioni, assolutamente corrispondente a una qualsiasi stanza di degenza ospedaliera, dotata di bagno privato attrezzato per i disabili, e in ottime condizioni igieniche". Riferendo in Commissione la Bindi ha detto che il personale medico "ha inoltre spiegato che il Riina si alimenta autonomamente, è tenuto sotto stretta osservazione medica - quasi 'a vista' - per il controllo delle sue patologie che peraltro, allo stato, non presentano manifestazioni acute, e, per quanto attiene alle sue generali condizioni di decadimento fisico, è costantemente assistito da una equipe di infermieri che lo accudisce più volte al giorno per ogni necessità". Dal punto di vista intellettivo, come chiarito dai medici e come confermato dagli agenti del GOM addetti alla sorveglianza h24, Riina "interloquisce normalmente con il personale medico, paramedico e della polizia penitenziaria, svolge i colloqui con i familiari e con il suo difensore, scrive lettere ai parenti e legge senza difficoltà quelle che riceve, partecipa alle udienze sebbene ciò comporti uno spostamento temporaneo presso la casa di reclusione di Parma e solo in rare occasioni ha dovuto rinunciarvi ma non per sua volontà bensì per la contraria indicazione dei sanitari in relazione alla sua salute". Presso la casa di reclusione di Parma "si è quindi proceduto alla visita della cella ove Riina è stato allocato fino al gennaio 2016 e dove potrebbe rientrare nel caso in cui il suo stato di salute dovesse consentirlo. Si è notato che, nonostante le ristrette dimensioni della cella assegnatagli, del resto corrispondenti a quelle inserite nelle sezioni dedicate al regime dell'art. 41-bis op, vi era già comunque la presenza di un letto di degenza, seppure con sistema manuale di vecchia tipologia che, come spiegato dal direttore del carcere, venne fornito al detenuto sin dal momento in cui ne fu imposta la prescrizione, da oltre un anno". Il direttore ha aggiunto "che è già stato realizzato il progetto, di cui la Commissione ha visionato copia, per ampliare la stanza - in modo sia di installare un letto ospedaliero più moderno, sia di creare un bagno accessibile con la sedia a rotelle, sia di consentire al personale della ASL di somministrare con maggiore facilità i trattamenti riabilitativi- e che i relativi lavori avranno inizio oggi e richiederanno pochi giorni lavorativi". Si è quindi accertato che, "sebbene il Riina abbia da sempre goduto della massima attenzione medica e assistenziale e che, anzi, la struttura carceraria ha cercato di adeguarsi progressivamente al mutare delle esigenze del recluso, l'attuale situazione è certamente mutata in meglio rispetto allo stato dei fatti apprezzato dalla Suprema Corte e risalente al maggio 2016". Se si è potuto constatare "che per il Riina si è stati in grado di assicurare ogni suo diritto nel regime intramurario", va espressa invece "preoccupazione per quanto potrebbe accadere a breve rispetto alla gestione di altri detenuti sottoposti al regime del 41-bis bisognosi di trattamento similare. Non sempre, infatti - ha osservato Rosy Bindi - le strutture ospedaliere pubbliche hanno, nella sezione riservata ai detenuti, un numero di celle sufficienti per rispondere a richieste di cura e di assistenza che si prevedono crescenti, così come, parallelamente, i continui spostamenti dei detenuti ospedalizzati per la partecipazione a distanza alle udienze".  "Tutto ciò richiederà un maggiore numero di personale specializzato penitenziario con aumento dei rischi. Occorre dunque adottare tempestivamente soluzioni di ricovero e cura ottimali, per quanto possibile intramurarie dentro il sistema carcerario, in grado di soddisfare i diritti del singolo ma anche la tutela della collettività, nonché comunque soluzioni idonee a evitare ripetuti trasferimenti dei detenuti adeguando ove occorra - ha concluso- le stesse strutture sanitarie pubbliche con sistemi di videoconferenza".

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