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Da Norcia a Preci la via crucis nell'Umbria ferita

La chiesa di San Salvatore a Campi di Norcia distrutta dal sisma

Silvia Mancinelli
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NORCIA San Benedetto, imponente nel suo candore marmoreo, guarda i monti sibillini e allarga il braccio destro come a indicare la via della rinascita. Alto e fiero, in mezzo alla piazza che porta il suo nome, sembra un ombrello aperto a riparare la sua gente. A Norcia, strapazzata, fradicia di pioggia, d'un tratto sopita e poi risvegliata, illuminata dal sole, silenziosa in valle e fracassona nel borgo, chi ha paura a rientrare in casa siede sotto la statua del Santo mentre i vigili del fuoco si adoperano a riparare la guglia della Basilica, piegata dalle scosse di mercoledì sera. Il comune più a est dell'Umbria, che confina tra gli altri con i paesini già martoriati di Accumoli e Arquata del Tronto, è l'epicentro simbolico di un terremoto che ha strappato via i punti troppo freschi della ferita al cuore d'Italia. «Dove non è arrivato il sisma di Amatrice, è riuscito questo di mercoledì», spiega una ragazza. Accucciata su un gradino, fissa San Benedetto appoggiata al palmo di una mano. Sembra chiedergli conforto, mentre sconsolata sembra non notare i pompieri affaccendati sull'autoscala. Ha gli stessi occhi stanchi di non chiudersi e di piangere che ha Marco ad Ancarano, frazione di Norcia. Sorretto da una coppia di amici, guarda la sua casa al di là di una transenna messa in fretta e in furia da un vigile urbano. La palazzina dove fino a poche ore fa viveva, è spogliata di pezzi di intonaco e mattoni venuti giù come briciole con la scossa delle 21.18. Il cassone del camioncino giocattolo che suo figlio aveva dimenticato in giardino è pieno di sassolini, come volesse dare una mano nel suo mondo di fantasia a ripulire dalle macerie. «Non ho più niente - dice - Mi sono rimasti solo i debiti». Un chilometro più su, passando per la via stretta che si inerpica sulla montagna, si erge ormai a fatica la chiesa della Madonna Bianca. Un punto di riferimento per i residenti, l'unico luogo di culto in tutta la vallata tra Norcia e Preci ad esser rimasto agibile dopo il terremoto del 24 agosto. La facciata della chiesa, che guarda verso la Valle Campiana e le sue casette in pietra, resiste tenace a dar forza ai suoi cittadini. Le crepe la intaccano, ma San Sebastiano e San Rocco dipinti all'interno, sembrano tenere uniti i lembi di crepe sempre più profonde. Ferita davanti, si è arresa dietro, dove le montagne che la incorniciano chiudono un occhio sul suo inevitabile cedimento. «Se non la puntellano, cadrà anche questa - commenta, con gli occhi gonfi di lacrime, Luciana - Come hanno fatto con San Salvatore, guardata cento volte dagli esperti dopo le scosse e mai rinforzata». La chiesa risalente al XII secolo e ceduta a Campi nel 1400, è ora un ammasso scomposto di detriti tutti uguali. Non ci sono più gli affreschi che indicavano con colori accesi la via verso l'altare e quel crocifisso, che secondo la leggenda ha fatto tanti miracoli, non è riuscito a salvare se stesso. Il campanile, restaurato quarant'anni fa, si è gonfiato scoprendo il grosso chiodo in ferro che lo teneva legato alla chiesa. Inagibile e transennato pure il piccolo cimitero accanto, dove la scritta «Pax» che sovrasta una delle tante cappelle di famiglia pare riportare all'ordine la valle dilaniata. La pietas cristiana nei paesini umbri sembra aver perso un po' della sua onnipotenza se pure il paesino che si chiama Preci ha pianto lacrime di polvere e detriti. «Con la scossa delle 19,11 il nostro cuore ha avuto un sussulto - racconta la ragazza al bancone del bar accanto alla caserma dei carabinieri - ma è stato quando la terra ha tremato una seconda volta, due ore dopo, che quasi si è fermato di botto. Questo centro lo chiuderanno tutto, le case che fuori sembrano intatte dentro si leccano ferite inguaribili». Così la piccola chiesa di Santa Caterina a malapena si regge, guardata con preoccupazione dai vigili del fuoco. Tutto intorno alla scalinata bianca, che porta fin su alla chiesa rimasta intatta di Santa Maria della Pietà, i vasi e l'annaffiatoio abbandonati a terra sembrano raccontare la corsa dei residenti e dei ristoratori verso il parcheggio ai piedi della collina. In piedi, orgogliosa di comandare ancora la valle che possedeva nel Medioevo, l'Abbazia di Sant'Eutizio si scrolla di dosso i pochi calcinacci perduti, ancorata sull'orlo di quel dirupo dove i tanti terremoti non sono mai riusciti a farla precipitare.

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