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I giochi pericolosi di monsignor Viganò

Gli affari finanziari del "grande moralizzatore" trasferito. Oltreoceano Appalti gonfiati, false fatturazioni e l'eredità del padre sottratta alla sorella

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Un gioco bollente sull'eredità familiare per il prelato Carlo Maria Viganò. Al grande moralizzatore del Vaticano, trasferito negli Stati Uniti d'America dopo un rimpallo di responsabilità su presunte forme di corruzione nella Santa Sede, è dedicato un intero capitolo del libro di inchiesta "Avarizia" del giornalista Emiliano Fittipaldi. Una ricostruzione particolareggiata del monsignore, che nell'estate del 2011 sfidò l'ex segretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, illustrando in due missive anche a Benedetto XVI la «corruzione dilagante tra le sacre mura».     IL LIBRO «Avarizia», come il nuovo libro del giornalista Gianluigi Nuzzi, «Via Crucis», è finito sotto indagine dalla giustizia vaticana. Stando alle accuse entrambe le inchieste giornalistiche sarebbero state fatte attraverso l'utilizzo di documenti trafugati da monsignore Vallejo Balda e della ex collaboratrice laica della Santa Sede, Francesca Immacolata Chaouqui, entrambi finiti agli arresti.     AFFARI POCO CHIARI Tuttavia, attraverso queste inchieste giornalistiche potrebbero venire alla luce una serie di affari finanziari poco chiari della Santa Sede, già nel ciclone giudiziario per lo scandalo dello Ior che, come anticipato da Il Tempo, non avrebbe mai avuto «autorizzazione» dell'Autorità di vigilanza a operare nel sistema bancario italiano. In sostanza, avrebbe raccolto e gestito il credito violando il Testo unico in materia bancaria. Ma veniamo a monsignor Carlo Maria Viganò.     IL MONSIGNORE Fittipaldi racconta, con carte alla mano, vicende giudiziarie del prelato legate a questioni ereditarie con i propri familiari. Veri e propri scontri che si traducono in accuse pubblicate da diversi quotidiani nazionali. Viganò, scrive il giornalista, appartiene a una ricca famiglia originaria di Varese, che «faceva affari con l'acciaio».     LA FAMIGLIA Otto fratelli, tra cui Carlo Maria, Lorenzo e Rossana, entrano in conflitto. Prima è il caso di Lorenzo, un gesuita. Nel 2011, dopo lo scontro con Bertone e una serie di «insinuazioni» successive, che lo inquadrano come coinvolto in appalti gonfiati e false fatturazioni, Carlo Maria viene trasferito negli Stati Uniti. Il 7 luglio di quell'anno, prima della sua imminente partenza, tenta di convincere Benedetto XVI a tenerlo in Italia. «Beatissimo padre, in altre circostanze tale nomina sarebbe stata motivo di gioia e segno di grande stima e fiducia nei miei confronti ma, nel presente contesto, sarà percepita da tutti come un verdetto di condanna del mio operato e quindi come una punizione (…) Mi angustia poi il fatto che, dovendo purtroppo prendermi cura personalmente di un mio fratello sacerdote più anziano, rimasto gravemente offeso da un ictus che lo sta progressivamente debilitando anche mentalmente, io debba partire proprio ora, quando ormai intravedo di poter risolvere in pochi mesi questo problema familiare che tanto mi preoccupa».     SOLO SCUSE Tutto falso, almeno stando al fratello Lorenzo. Secondo il sacerdote, infatti, pur avendo avuto un ictus avrebbe recuperato le forze in breve tempo.     L'APPARTAMENTO Ma è con la sorella Rosanna che Fittipaldi scopre un contenzioso giudiziario fino ad oggi ignoto. Nell'ottobre del 2012 la donna decide di denunciare Carlo Maria alla Procura dei Grigioni, in Svizzera. Stando a quanto racconta, il prelato si sarebbe sostanzialmente appropriato di 900 milioni di lire, derivanti dall'eredità paterna. Con questo denaro avrebbe acquistato un appartamento pagato 430mila franchi svizzeri, che poi avrebbe recentemente rivenduto lasciando la sorella a bocca asciutta. La donna lo racconta in un interrogatorio con i magistrati che Fittipaldi riporta nel libro: «Carlo Maria Viganò è diventato, circa nel 1973, segretario della nunziatura a Baghdad, da quel momento egli era in possesso del passaporto diplomatico.     SOLDI SEGRETI In Italia erano i tempi delle Brigate Rosse. Si era quindi deciso di trasferire i nostri capitali in Svizzera. Io ho dato, in presenza di mia madre, a Carlo Maria i miei soldi che li ha messi in una cartella molto usata, per poi depositarli presso il Credit Suisse di Lugano sul conto rubrica "Omnes". Gli ho dato circa 500 milioni di lire. Poi gli ho dato due tranche successive di 200 milioni di lire ciascuna. In totale quindi circa 900 milioni di lire. Carlo Maria mi disse che i miei soldi sarebbero stati messi su una rubrica denominata "Cioppì", nomignolo da lui dato a mia figlia».     LA CONCLUSIONE Successivamente, col denaro avrebbe acquistato l'appartamento salvo poi rivenderlo. La vicenda si conclude nel febbraio 2014, con una transazione tra le parti Carlo Maria versa 180mila franchi svizzeri al difensore della sorella, che a sua volta li dà in beneficenza a un ospedale in Tanzania, dove lavora come volontaria la figlia di Rossana.

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