La Corte di Strasburgo si pronuncia su Contrada: non andava condannato
Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché all'epoca dei fatti (1979-1988), il reato non "era sufficientemente chiaro". Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani. Lo Stato italiano deve versare all'ex numero tre del Sisde 10mila euro per danni morali. L'avvocato al telefono. Il Tempo ha contattato al telefono il legale di Contrada l'avvocato Giuseppe Lipera il quale ha commentato con parole forti la sentenza di Strasbrurgo: "E' una vita che sono tra coloro i quali dicono che il concorso esterno è un reato inventato dai giudici - esordisce Lipera - Giuseppe Ayala in un suo libro ne vanta la paternità ma poi appare subito dopo pentito per l'uso spregiudicato che ne hanno fatto i colleghi". Lipera dunque sottolinea che in Italia ci sono molte vittime di questo "incomprensibile" reato e intanto fa sapere che nel silenzio più assoluto dei riflettori mediatici è andato avanti nel caso Contrada e due mesi fa ha presentato il quarto ricorso per la revisione del processo. L'udienza in Appello a Caltanissetta si terrà il prossimo il 18 giugno Contrada: "Sono sconvolto". Emozionato al telefono con il suo legale, l'ex poliziotto: "Sono frastornato, sconvolto, ansioso di sapere di piu'". Così Bruno Contrada parla della decisione della Corte di Strasburgo che ha condannato l'Italia per la sentenza nei suoi confronti. Raggiunto al telefono dall'Agi, Contrada dice: "Lei sta parlando con un uomo la cui vita è stata devastata da 23 anni, dal 1992 ad oggi: ho subito sofferenza, dolore, umiliazione e devastazione della mia esistenza e della mia famiglia. Si può immaginare ed è intuibile qual è il mio stato d'animo in questo momento. Poco fa ho sentito il mio avvocato che mi ha comunicato la decisione della Corte europea per i diritti dell'uomo. Aspetto di leggere la sentenza - conclude l'ex numero tre del Sisde - per rendermi conto di cosa dice e per quale motivo è stato accolto il mio ricorso". Chi è Contrada. E' un ex poliziotto e agente segreto italiano, ex dirigente generale della Polizia di Stato, ex numero tre del Sisde, ex capo della Mobile di Palermo, ed ex capo della sezione siciliana della Criminalpol. Il suo nome è associato alla strage di via d'Amelio, dove morì in un attentato il giudice Paolo Borsellino che in quel periodo indagava sui collegamenti tra mafia e Stato. Arrestato il 24 dicembre 1992, Contrada è stato condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. L'accusa. Il 24 dicembre 1992 venne arrestato perché accusato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso (estensione giurisprudenziale dell'art. 416 bis Codice penale) sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (tra i quali Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Giuseppe Marchese, Salvatore Cancemi) e rimase in regime di carcere preventivo fino al 31 luglio 1995. Il primo processo a suo carico, iniziato il 12 aprile 1994, si concluse il 19 gennaio 1996, quando, al termine di una requisitoria protrattasi per ventidue udienze, il pubblico ministero Antonio Ingroia chiese la condanna a dodici anni. Il 5 aprile 1996 i giudici disposero dieci anni di reclusione e tre di libertà vigilata. Il 4 maggio 2001 la Corte d'Appello di Palermo lo assolse perché il fatto non sussiste. Il 12 dicembre 2002 la Corte di Cassazione annullò la sentenza di secondo grado, ordinando un nuovo processo davanti ad una diversa sezione della Corte d'Appello di Palermo. Il 25 febbraio 2006 i giudici di secondo grado confermarono, dopo 31 ore di camera di consiglio, la sentenza di primo grado che condannava Bruno Contrada a 10 anni di carcere e al pagamento delle spese processuali. Il 10 maggio 2007 la Corte di cassazione ha confermato la sentenza di condanna in appello. Contrada venne rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta. Il 24 settembre 2011 la Corte d'appello di Caltanissetta ritiene che "non è manifestamente infondata" la richiesta di revisione del processo, ma l'8 novembre seguente la Corte dichiarò definitivamente inammissibile la richiesta di revisione del processo.