L’era del transistor 60 anni fa iniziava una rivoluzione
Prima erano, nella migliore delle ipotesi, degli ingombranti soprammobili, composti da due o tre chili di legno, metallo, vetro e componenti elettriche che si surriscaldavano. Poi, improvvisamente, il 18 ottobre di sessant’anni fa, la radio cambia di botto: non è più un mobile ottocentesco che sbuffa, fischia e per spostarla servono due facchini. La radio diventa tascabile: è colorata, elegante, non scalda e non ha fili. Nasce l’era dei transistor. L’alba di una rivoluzione dopo la quale il mondo non sarà più lo stesso arriva in un ottobre di sessant’anni fa non a caso: la società americana Texas Instruments decide di lanciare la prima radio tascabile, la Regency Tr-1, in vista del periodo dello shopping natalizio. Siamo negli Stati Uniti, la Guerra è finita da un decennio: c’è la paura dell’atomica ma le persone hanno voglia di divertirsi. E di spendere. Quella scatolina di plastica, semplice, elegante, non somiglia a nulla di ciò che si era già visto: pesa circa tre etti, è grande come un pacchetto di sigarette, (tassativo per i produttori che entrasse nel taschino della giacca), si può scegliere tra tanti colori e ha a disposizione anche degli optional, come l’auricolare (per un solo orecchio e naturalmente mono) e una custodia in pelle. Di certo non è a buon mercato: costa 49,95 dollari, senza batterie, poco meno di un mese di stipendio di un onesto artigiano. Ma i 150mila pezzi realizzati vanno a ruba e l’industria di Dallas dovrà intensificare la produzione per smaltire gli ordini. Il segreto della Regency Tr-1 si chiama transistor: abbreviazione di Transconductance varistor. Un oggettino prezioso per la nascente elettronica, che permette di fare le cose più piccole e più potenti. All’inizio il transistor era un progetto militare: fu sviluppato da tre professori: William Shockley, John Bardeen e Walter Brattain i quali, studiando le caratteristiche del silicio, misero a punto il dispositivo. Il transistor, che nacque ufficialmente nel 1947, valse il Nobel per la Fisica ai tre ricercatori. Il vero segreto dei «transistori» (come saranno chiamati per un po’ di tempo in Italia), è che, oltre ad essere eccezionalmente piccoli, consumano poco. Gli apparati di comunicazione mobile, in tempo di guerra, non erano una novità: ma avevano bisogno di batterie grandi e pesanti. Insomma se si girava con un carro armato non era un problema, ma di certo non era possibile mettersi una radio in tasca. Con il passaggio dalle vecchie valvole termoioniche (grandi come lampadine) ai transistor (piccoli come un fiammifero) la grandezza della radio si riduce di dieci volte. Il fabbisogno di energia diviene minimo: così sono sufficienti batterie piccole e leggere che durano di più. L’apparato a transistor, inoltre, è «freddo» (mentre le vecchie radio a valvole erano anche degli involontari termosifoni), e poi il transistor «parte» subito. Sì perché i vecchi apparati a valvole (radio e televisori) avevano bisogno di scaldarsi: si azionava l’interruttore e poi si attendeva, trenta secondi, un minuto, in alcuni casi anche di più, prima di poter ascoltare, o vedere immagini. Quella Regency Tr-1, andata a ruba, è un po’ la nonna degli smartphone, è l’antenata di tutti i dispositivi di comunicazione portatile. E il problema del costo molto alto si mitigherà in tempi brevi: nel giro di un anno o poco più dal ’54 le radio a transistor in commercio si moltiplicheranno e il loro prezzo diminuirà. Da 49,95 dollari il costo di un buon apparato a transistor scese a 25 e poi, con l’arrivo delle celebri «radioline giapponesi», in particolare con quelle della Sony, a 15. E se dalla nascita della radio a transistor sono trascorsi 60 anni, ne sono passati giusto 50 da quando questa divenne un oggetto di culto. Era il 1964: dalle matite di Marco Zanuso e Richard Sapper uscì un’icona di stile: la Radiosveglia Cubo Brionvega TS522 che, con la classica velocità dei transistor, entrò in molte case di tutto il mondo e nei maggiori musei di design. È la famosa radio portatile composta da due cubi colorati uniti da una cerniera. Pratica, ma anche molto bella da tenere in casa, sfoggiandola, perché no, in salotto, al centro della stanza. Un oggetto geniale, tanto che compie i cinquant’anni in produzione perché piace e soprattutto ai giovani. Le funzioni (ovviamente) sono aumentate: è WiFi, ha il Bluetooth, il telecomando, il display digitale, ma l’idea è rimasta quella. Un’idea italiana vincente di ispirazione per le aziende di mezzo mondo le quali capiscono che la radio a transistor può essere un capolavoro di design. Arrivano allora sul mercato la radio «a saponetta» Emperor, da Hong Kong e poi la collezione della National Panasonic di Osaka: la Toot a loop, la radio-bracciale; la «palla» Panapet e tante altre. Il transistor è tutto questo e molto di più perché è da questa famiglia di dispositivi elettronici, piccoli e potenti che, con celerità, si svilupperanno i microprocessori. La Regency Tr-1 fu come una scintilla dalla quale nacque un gigantesco fuoco d’artificio: dopo la radiolina portatile arrivarono i giradischi, gli impianti stereofonici, la diffusione di massa della televisione che divenne a colori e alla quale poi si collegò l’alta fedeltà, creando l’home theatre. Parallelamente si sono sviluppati i computer, prima grandi, pesanti, poi portatili e infine sono arrivati gli smarthphone così simili, per portabilità, a quella prima radiolina da tasca.