Truffe ad assicurazioni e società di leasing: otto arresti
Un’organizzazione specializzata in truffe legata alla ’ndrangheta è stata scoperta a Viterbo. Otto le persone arrestate, alcune delle quali originarie della piana di Gioia Tauro e sospettate appunto di legami con la 'ndrangheta, con l’accusa di aver raggirato società di leasing e compagnie assicuratrici. Ventiquattro complessivamente gli indagati. Secondo quanto ricostruito dai finanzieri del Comando provinciale e dagli agenti della Squadra mobile della questura di Viterbo, gli appartenenti all'organizzazione noleggiavano grandi mezzi da cantiere e ne denunciavano il furto, salvo rivenderli all'estero. L’inchiesta «Ghost truck», coordinata dal sostituto procuratore Paola Conti, è andata avanti per circa due anni e ha consentito di ricostruire un sofisticato meccanismo di frode che ha coinvolto 16 società riconducibili agli indagati e operanti nel settore delle infrastrutture, del movimento terra e dei trasporti. Fitta la rete di connivenze e complicità costruita da taluni soggetti facenti capo ad organizzazioni criminali operanti nella provincia di Reggio Calabria. L'inchiesta ha riguardato l'intero territorio nazionale, in particolare Lombardia, Piemonte, Toscana, Umbria, Lazio, Calabria e Sicilia. Sedici le perquisizioni locali e domiciliari eseguite. Le societa' coinvolte, secondo gli investigatori, procedevano al noleggio - presso varie concessionarie di tutta Italia - di mezzi per il movimento terra d'ingente valore commerciale e non dotate di codici o numeri seriali di riconoscimento risultanti da pubblici registri. Poi, le persone incaricate, sulla base di precise direttive ricevute dagli organizzatori della frode, producevano false certificazioni di lavoro, tese ad attestare che le macchine noleggiate fossero effettivamente impegnate nello svolgimento di lavori all'interno di cantieri precedentemente individuati. Nella fase successiva, i vertici dell'organizzazione affidavano ad autisti di propria fiducia il compito di condurre i mezzi in alcuni porti siciliani per farli «sparire» dal territorio italiano, potendo contare su appoggi logistici opportunamente precostituiti all'estero. Nella terza ed ultima fase, a «sparizione» avvenuta, veniva denunciato il furto delle macchine operatrici, ormai al sicuro all’estero, in particolare a Malta. Un giro che avrebbe fruttato all’organizzazione almeno un milione di euro.