I «dop» conquistano ma non si riconoscono
Prosciutto, formaggi e ortaggi genuini sono preferiti dagli italiani anche se gli italiani a tavola non li distinguono
Buoni, genuini e garanzia di qualità. I prodotti DOP conquistano gli italiani affezionati a Grana, Parmigiano, Prosciutto di Parma, San Daniele e Gorgonzola. Eppure un compaesano su due è ignorante in materia di cibo locale e non riconosce il "Formaggio di Fossa”, individuato solo da 11 persone su cento. Stesso dicasi per le "Sarde a beccafico”, conosciute da 18 italiani su cento, e dal "Datterino”, famoso solo per il 22% degli italiani. È quanto emerge da uno studio promosso dalla rivista Viaggi del Gusto Magazine, in uscita in questi giorni, condotto tramite interviste web a oltre 1.300 italiani, uomini e donne, di età compresa tra 18 e i 55 anni, per rilevare qual è la loro preparazione sui prodotti tipici del made in Italy, prodotti DOP o IGP, quali conoscono e apprezzano e per quali le caratteristiche. E si scopre che, malgrado la devozione verso ben 246 su 1.137 prodotti DOP, IGP e STG iscritti nel registro europeo, spesso siamo impreparati. L'oscar dell'ignoranza spetta alle donne, soprattutto le giovani, tra i 18 e i 25 anni e le casalinghe; oltre la metà, davanti un banco al mercato, non sa bene quanto gli viene proposto. Meglio di loro sanno fare gli uomini, ignoranti "solo” nel 38% dei casi. Quando però vengono individuati dalla confezione (35%) o da immagini che richiamano al tricolore (29%), li acquistano 6 italiani su dieci. Nella patria della dieta mediterranea, però, gli italiani commettono soprattutto l'errore di poter fare tutto per conto loro, senza consultare alcun esperto o una guida agroalimentare. Capita per la troppa sicurezza proiettata sui prodotti che, nella maggior parte dei casi, si crede si tratti di prodotti tipici quando esistono solo in Italia, mentre i più precisi ritengono sia un qualcosa presente solo presente solo in alcuni territori/aree geografiche (24%). Ma c'è anche chi crede si tratti principalmente di un alimento artigianale (16%) o ricco di tradizioni (18%). Colpa degli scaffali dei negozi su cui compaiono troppi prodotti con sigle e nomi spesso incomprensibili. E colpa anche del costo spesso troppo alto (21%), e della difficoltà sull'abbinamento con altri cibi (16%). Su una cosa non si discute: sulla leadership internazionale ("scippata” alla Francia nel 2003) che l'Italia vanta nel mondo dei prodotti agroalimentari con marchio di tutela. Scorrere l'elenco delle DOP-IGP nazionali, dalla "A” dell'abbacchio romano alla "Z” dello Zampone di Modena è un po' come fare un suggestivo viaggio virtuale nell'Italia del gusto. Il paniere italiano dei prodotti tipici tutelati dall'Unione Europea, malgrado i risultati eccellenti ottenuti (da alcuni prodotti) sul piano dei fatturati aziendali e della funzione anti-frode, risulta tuttavia ancora poco conosciuto, o meglio "riconoscibile”, dai consumer, come molti studi dimostrano. In buona sostanza, in Italia ci si accapiglia per condurre a denominazione protetta un prodotto, ma molto spesso tutto finisce in un nulla di fatto quando si passa alla fase pratica. Basti dire che del fatturato complessivo del settore, l'80% è appannaggio delle prime 5 DOP italiane (Grana, Parmigiano, Prosciutto di Parma, San Daniele e Gorgonzola) mentre alle altre restano le briciole. E non sono poche le realtà produttive nazionali che si sono "pentite” di aver chiesto l'istituzione della DOP per il loro prodotto, come nel caso del "Bitto”, lo storico formaggio prodotto nel Bergamasco, il cui presidente del Consorzio di Tutela, Paolo Ciapparelli lamenta il fatto che «la Denominazione d'Origine Protetta ha finito per stravolgere le caratteristiche del Bitto, facendo incrementare la produzione a tutto discapito della qualità e del prezzo sul mercato». Secondo la società di studi economici Nomisma i prodotti a denominazione e indicazione d'origine potranno diventare veri motori dello sviluppo agroalimentare italiano solo quando ci sarà «maggior conoscenza da parte dei consumatori dei loghi Dop e Igp e di quello che ci sta dietro, in termini di qualità, rigidità dei processi produttivi e maggiori controlli».