CONTROTEMPO
L'ultimo profugo si chiama Roger Waters
Sono passati 25 anni da "Amused to death". Anni scanditi da silenzio e sperimentazioni liriche. Tanto ha aspettato Roger Waters. Anima, mente, cuore dei Pink Floyd che furono. Oltre le separazioni e le beghe legali. Adesso torna a farci ascoltare inediti nel suo nuovo album da solista. Si chiede se questa è davvero la vita che vogliamo in "Is this the life we really want?". La data da ricordare è il 2 giugno. Nell’ultimo mese i dodici brani dell'album sono stati anticipati da tre singoli: "Smell the roses", "Deja vu" e dall'ultimo "The last refugee". L'ultimo profugo, appunto. Brani che ripercorrono le armonie e le potenzialità del classicismo rock più genuino. Le linee vocali di Waters sono nette ed efficaci. Aperture di spazi ed echi di sinfonie elettriche esposte nella loro sintesi elementare. Senza narcisismi o inutili compiacimenti. L'odore delle rose lascia spazio all'intima ballata "Deja vu". Cercando di scavare nella verità della musica. Dal passato che torna e si infrange al presente delle onde che lo hanno condotto a riva. Il disco è stato inciso con Nigel Godrich, produttore dei Radiohead, Gus Seyffert (bassista per Norah Jones e frontman dei Willoughby), Jonathan Wilson (cantautore e produttore), Joey Waronker (batterista con Beck e R.E.M.), Roger Manning (Jellyfish, Imperial Drag, The Moog Cookbook e TV Eyes), Lee Pardini (tastierista dei Dawes), Jessica Wolfe e Holly Proctor. "L'ultimo profugo" è sbarcato da solo, a bordo di un relitto. L'imbarcazione del rock si infrange sulle coste frastagliate della musica liquida. Oltre le emergenze. Oltre la cronaca e la critica sociale. Su quella stessa barca Waters va ancora alla deriva. O forse ci va il rock intero. Nel sogno sono sbarcati a riva. Con l'intima speranza di essere ritrovati. Forse salvati. Dallo stesso destino che Waters insegue da sempre. Questa volta solo qualche metro più in là. VOTO: 4/5