SETTE NOTE
Il nuovo Sting torna alle sue origini rock
Quell'incrocio di New York dev'essergli rimasto nel cuore. Per convincerlo a dedicargli un album intero. Forse perché a Hell's Kitchen Sting ha registrato il suo nuovo lavoro intitolato appunto “57th & 9th”. E pensare che nella paternità dei brani figurano anche i due chitarristi Dominic Miller e Lyle Workman, oltre ai due batteristi Vinnie Colaiuta e Josh Freese. Le dieci nuove canzoni di “57th & 9th” marcano il ritorno al rock dell'ex Police. Nella prima “I can't stop thinking about you” gli echi della vecchia band si sentono eccome, ma vengono filtrati attraverso trent'anni di saggio mestiere musicale. Il tema del brano è il blocco dello scrittore di fronte al foglio bianco, superato solo dopo una decade di imbarazzi e difficoltà. “50,000” è dedicata al valore della memoria e a Prince, anche se la recente scomparsa di Leonard Cohen ne allarga ulteriormente gli orizzonti. “Rockstars don't ever die/They only fade away” canta Sting toccando le corde più intime della commozione. Nell'album spiccano “One fine day” per la disimpegnata spensieratezza e “Petrol head” per l'aria da singolo hard rock d'altri tempi. Sting non sembra accusare i 65 anni e canta ancora con la freschezza di un ragazzo. Soprattutto in “If you can't love me”, il brano più riuscito dell'album. Le parentesi madrigali e sinfoniche degli ultimi anni si sentono in episodi come “Heading south on the great north road” che sembra venire fuori direttamente dagli outtakes di “The last ship”. Fino a “Inshallah”, la figlia legittima di “Desert rose”. Fino alla chicca finale: la versione live di “Next to you” registrata alla Rockwood Music Hall. Scusate se è poco. Bentornato Sting. VOTO: 3/5