E se fosse Renzi il più antieuropeista?
L'Europa si avvicina alle celebrazioni per il sessantennale dei trattati che istituirono la Cee con l'animo dello scampato pericolo per l'esito delle elezioni olandesi, nelle quali il Partito per la Libertà di Geert Wilders ha ottenuto un risultato inferiore alle attese. Eppure proprio l'esito uscito dalle urne nel Paese dei tulipani dovrebbe spingere tutti a fare qualche riflessione. Perché al di là del fatto - prevedibile - che Wilders resterà al di fuori della compagine di governo, il suo 13% conferma come formazioni considerate di estrema destra (quando non neonaziste) e che un tempo faticavano ad arrivare al 2-3% dei voti, oggi siano stabilmente in doppia cifra in tutti gli Stati europei più importanti. Un tempo si riteneva che questo genere di comportamento degli elettori fosse dovuto alla crisi economica. La povertà fa aumentare la rabbia verso l'establishment. In Olanda, tuttavia, questa spiegazione non regge. Il pil del Paese è cresciuto del 2% nel 2015 e del 2,1% nel 2016. La disoccupazione nel dicembre 2016 è ulteriormente scesa al 5,4%, quella giovanile è ai livelli più bassi di tutta Europa. L'Olanda sta bene. Per lo meno, sta meglio di tutti nella Ue. La cosiddetta rivolta contro l'establishment, quindi, affonda le sue radici in qualcos'altro. Nella mancanza di “prossimità”. Mi spiego meglio: le nostre vite appaiono sempre più controllate da istituzioni e meccanismi sfuggenti, lontani da noi. Sui quali sentiamo di non aver alcuna influenza. Il nostro voto sembra contare poco o nulla, le decisioni che contano vengono prese in un indefinito “altrove” che risponde più alle logiche della finanza che della democrazia. Siamo impotenti, non più padroni del nostro destino. E questo diventa frustrante sia che le cose vadano male (Grecia, Spagna, Italia) sia che vadano bene (Germania, Olanda). “Abbiamo la sensazione che il mondo cambi vorticosamente intorno a noi e che i nostri strumenti per influenzarne il corso siano sempre più fragili e invecchiati. La politica tradizionale ha tardato a dare risposta a queste preoccupazioni. Poco a poco, il pragmatismo, agli occhi di una fascia crescente dell'opinione pubblica occidentale, si è così trasformato in fatalismo”. Questa analisi è contenuta nella prima pagina della mozione di Matteo Renzi per il congresso Pd. Sul piano teorico, quindi, l'ex premier sembra aver capito perfettamente qual è la diagnosi dei mali dell'Europa e del mondo. Sul piano pratico, però, è riuscito a indovinarne la cura? L'unica strada affinché i cittadini tornino a sentirsi protagonisti (l'unica strada democratica, intendo) è, a mio avviso, costituita da un governo forte, pienamente legittimato, che possa sbattere i pugni in Europa e orientarne il dibattito a costo finanche di minacciare l'addio all'Unione. Per ottenere questo esito sarebbe necessaria una legge elettorale che, in mancanza di certezze, spingesse un po' di più verso un sistema maggioritario in grado di dare una maggioranza certa e coesa al governo in Parlamento. Se restassero in vigore i sistemi proporzionali attualmente previsti per Camera e Senato, invece, gli esiti potrebbero essere due: il primo, sarebbe un governicchio Pd-Forza Italia-centristi vari-responsabili e chi più ne ha più ne metta. Un governo, insomma, sostanzialmente bloccato a causa dei veti incrociati di una maggioranza troppo eterogenea e quindi incapace di contare in Europa. Costretto a subire le imposizioni non solo esterne, ma anche interne: di sindacati, lobby, poteri forti ecc. Il secondo esito, a mio avviso più probabile visti gli ultimi sondaggi, è l'incapacità di formare qualsiasi maggioranza di governo. Costringendo il Paese al ritorno alle urne in tempi brevi, un po' come accaduto in Spagna. In entrambi i casi, si tratterebbe di ulteriore vento nelle vele dei cosiddetti “populisti”. Ora, Renzi è troppo intelligente per non fare due più due. Se ha azzeccato la diagnosi, non può non aver intuito la cura. Eppure, cosa fa? Si trincera dietro una proposta chiaramente destinata a fallire (il Mattarellum) senza muovere un dito affinché realmente si faccia una nuova legge elettorale. Preferisce, sostanzialmente, che resti questo proporzionale perché oggi è forse l'unico sistema che gli garantisce non tanto di vincere, ma di non far vincere i suoi avversari. E quindi di continuare a contare. Renzi pensa a sè nel breve periodo piuttosto che al Paese nel lungo. Dice di voler difendere l'Europa ma contestualmente getta i semi per un'ulteriore crescita degli anti-establishment. A questo punto, una domanda nasce spontanea: e se fosse lui il più antieuropeista di tutti?