15 marzo, anniversario di una disfatta politica
"Preoccupato per tutti 'sti grillini? Ma no, figurati. Li facciamo stare cinque anni senza toccare palla e poi ti faccio vedere quanti voti prendono la prossima volta". Era il 15 marzo 2013, giorno di insediamento dei parlamentari eletti nella XVII legislatura. La grande novità dell'occasione era, ovviamente, il debutto nel "Palazzo" di circa 150 eletti a Cinquestelle. Io ne parlai in Transatlantico con un deputato dell'allora Pdl e lui ostentò sicurezza, convinto che il fenomeno si sarebbe sgonfiato rapidamente. Oggi, a quattro anni di distanza, la sua profezia si è avverata a metà. E' vero che in quarantotto mesi di legislatura i parlamentari del MoVimento 5 Stelle non hanno "toccato palla". Non c'è una sola legge approvata dalle Camere che porti il loro marchio. Non c'è una sola scelta della politica - come l'elezione del presidente della Repubblica - nella quale il loro comportamento si sia rivelato determinante. Al tempo stesso, però, il previsto crollo di consensi non è avvenuto. Anzi. Se alle Politiche del 2013 Grillo aveva raccolto il 25% dei consensi, oggi i sondaggisti stimano per il suo movimento percentuali tra i 27 e i 30 punti. Credo che questo sia ascrivibile proprio al modo in cui i partiti hanno deciso di affrontare questa novità politica. Dire "non gli facciamo toccare palla" è assai diverso dal pensare "ora ci impegniamo sul serio e dimostriamo di essere migliori di loro". Vince la competizione al ribasso piuttosto che quella "al rialzo". Negli ultimi anni i partiti non hanno fatto altro che provare a dimostrare che "i grillini sono uguali agli altri". Convinti che sarebbe bastato questo a riportare gli elettori persi all'ovile. Non solo non sono riusciti nel loro intento - pensiamo davvero che le polizze da trentamila euro della Raggi siano uguali alle tangenti milionarie del Mose? O che le firme false di Palermo siano più gravi della "tesseropoli" del Pd? - ma hanno anche fallito clamorosamente l'analisi. Perché gli elettori, dal MoVimento 5 Stelle, non si aspettavano di certo esperienza amministrativa o comportamenti da statisti. Volevano semplicemente dare un calcio a tutta la vecchia politica che da anni sembrava completamente ripiegata su se stessa. Più impegnata a parlare - e a occuparsi - dei propri problemi piuttosto che di quelli della collettività. L'unica risposta possibile a tutto questo sarebbe stata un'ammissione delle colpe passate. Accompagnata da un forte rilancio sull'agenda di ciò di cui realmente ha bisogno il Paese. Invece quel 15 marzo 2013 si è scelto di percorrere un'altra strada, quella del "tanto peggio tanto meglio". E' in quel giorno che i partiti hanno cominciato a perdere anche le elezioni successive. Che la tattica non stesse funzionando, peraltro, era abbastanza chiaro da almeno un paio di anni, dopo che il MoVimento si era rialzato dalla batosta delle Europee. Eppure nessuno ha provato a cambiare il canovaccio. Ne è dimostrazione il surreale dibattito sulla legge elettorale. Tutti sanno che, con il sistema uscito dalla Consulta, per il Paese sarà praticamente impossibile avere un governo dopo il voto. Eppure nessuno sembra realmente intenzionato a redigere una legge migliore. L'unico modo per farlo sarebbe un'iniziativa politica forte del governo o del principale partito che lo sostiene. Invece, nell'assenza di un indirizzo chiaro, le proposte di riforma elettorale depositate in commissione sono lievitate fino a 28. Con il concreto rischio che questa "ammuina" si risolva nel classico nulla di fatto. "Votare col proporzionale va bene anche a Grillo, così può restare all'opposizione senza il problema di governare" obiettano da Pd e centrodestra. E' vero. Ma questo non li assolve. Magari, prima o poi, anche il M5S sarà percepito dagli elettori come parte del "sistema". Ma ad approfittarne non saranno i vecchi partiti. Sarà qualcosa di ancora più nuovo rispetto a Grillo. E non per forza migliore. Anzi, molto probabilmente peggiore.