IL PAESE IN CRISI

L'algoritmo di Google e la "pensionofobia"

Carlantonio Solimene

Torno sul tema della denatalità affrontato nell'ultimo blog post prima di fare spazio allo sprint finale della campagna referendaria. Lo faccio per due motivi. Innanzitutto per i dati Istat pubblicati il giorno successivo al post e che denunciano una situazione in ulteriore peggioramento. Io parlavo di 1,4 figli a donna in Italia, l'Istat ha corretto a 1,35. Il secondo spunto me lo ha fornito mia moglie quando mi ha raccontato di un video in cui, attraverso il completatore automatico che Google applica alle ricerche, l'autore è riuscito a svelare quali sono i temi più cari agli internauti. Qui trovate il video originale. Ma si tratta di un esperimento che, se volete, potete fare anche voi. Se scrivete, ad esempio, nella barra delle ricerche "ho 17 anni", Google completerà automaticamente la ricerca con "e non ho mai avuto una ragazza". Il motore di ricerca, basandosi su milioni di casi, ritiene insomma che sia quello il problema che più angoscia una generazione di adolescenti infelici. Così, ripetendo il tentativo per varie fasce di età, si scopre che chi ha 23 anni non sa cosa fare nella vita, chi ne ha 30 si chiede come mai è ancora single, le donne di 36 anni sono preoccupate perché non sono ancora riuscite a rimanere incinta e c'è pure chi a 43 anni confessa di essere vergine. Poi, quando si digita "ho 48 anni", l'atroce scoperta: Google completa la ricerca con la domanda "quando andrò in pensione?". E da quell'età in poi il tema previdenziale scalza qualsiasi altra preoccupazione. Non c'è da stupirsi. Ogni giorno economisti, ministri, giornalisti o anche semplici genitori non fanno altro che ripetere ai "giovani" di non illudersi di percepire assegni generosi quando - e se - andranno in pensione. E' una delle conseguenze della "denatalità". In una società di anziani sono sempre meno quelli che lavorano e pagano le pensioni ai tantissimi che percepiscono l'assegno previdenziale. Prima o poi il rubinetto si seccherà del tutto. Sicché è normale che già a 48 anni - e quindi a vent'anni o più dalla fine della carriera lavorativa - il principale quesito esistenziale di tutti riguardi la pensione. Spesso accade anche prima. Accade persino per me, che di anni ne ho 36. Ma può una società assillata dall'ossessione per la previdenza puntare alla ripresa? Se avessi qualche soldo da parte, con queste prospettive, preferirei investirli in una nuova attività lavorativa o cominciare a pagarmi una pensione complementare? Eppure a 48 anni non si è certo già entrati nella terza età. Dovrebbe, anzi, essere quella fase della vita in cui si fanno ancora grandi progetti, si punta a dare il meglio sul lavoro, si hanno ambizioni di carriera. Niente di tutto questo. L'italiano passa direttamente dalla sindrome di Peter Pan (a trent'anni si chiede se sia giusto essere single, solo a 36 si pone seriamente il problema di avere figli) alla "pensionofobia". Non accade mai, ad esempio, che Google completi la ricerca con un "voglio aprire un negozio" piuttosto che "voglio andare a lavorare all'estero" o più semplicemente "voglio diventare ricco". Eppure Steve Jobs non diceva certo "stay cautious" (restate previdenti), diceva "stay foolish" (siate folli). Invece siamo diventati un popolo di Gattuso: lodevolmente pronti a fare schermo davanti alla difesa per affrontare le difficoltà. Ma incapaci di far ripartire l'azione. Incapaci di fare i Pirlo, inventare il passaggio illuminante e andare in gol.