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I Friedkin, lo stadio "green" e la giostra che riparte all'infinito

Alessandro Austini
Alessandro Austini

Spunti, riflessioni e notizie. Con la Roma non ci si annoia mai

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Ci sono un paio di messaggi "subliminali" nel comunicato inserito all'interno della semestrale di As Roma pubblicata ieri, con cui si è annunciato ufficialmente il disimpegno dei Friedkin dal progetto di Tor di Valle. Quando si ricorda che la società giallorossa sarebbe stata la "mera utilizzatrice" dello stadio, si cerca di cogliere due piccioni con una fava. Da una parte - spiegano fonti interne al club - quella specifica è stata suggerita dagli avvocati per iniziare a difendersi da una possibile causa: Luca Parnasi, l'ex partner di Pallotta, potrebbe infatti chiedere i danni al club giallorosso, avendo lui stesso speso una parte dei circa 90 milioni investiti negli anni per il solo progetto.

Ma ricordando che lo stadio di Tor di Valle non sarebbe stato formalmente di proprietà di As Roma, in quanto costruito da una società creata appositamente da Pallotta (e poi acquistata da Friedkin), si strizza l'occhio a tutti quelli che negli anni hanno sottolineato in modo strumentale questa scelta, che in realtà sarebbe servita a non appesantire il bilancio del club con i costi di progettazione e costruzione dell'impianto. Bersaglio colpito, basta leggere l'ultimo striscione dei tifosi dedicato a Pallotta.

Ci sarebbe pure da ricordare che proprio la legge sugli stadi stabilisce che per presentare un progetto serva un accordo tra il proponente e "una o più associazioni o società sportive utilizzatrici in via prevalente". Mere utilizzatrici, lo dice anche la legge, ma questo interesserà a pochi.

Ormai Tor di Valle è il passato, almeno con quel progetto divenuto vecchio e non più sostenibile per via del vergognoso balletto sull'iter burocratico, che ha fatto svanire un investimento privato da un miliardo di euro per la città. Adesso resta da capire dove i Friedkin vogliano riprovarci e a quanto pare lo chiederanno loro alla Raggi nel prossimo incontro. Perché un'area alternativa e un nuovo progetto al momento non esistono.

Un indizio arriva con la seconda "parola chiave" del comunicato: "Università". Così recita il passaggio in questione: "La Società conferma l'intenzione di rafforzare il dialogo con l'Amministrazione di Roma Capitale, la Regione e tutte le Istituzioni preposte, le Università di Roma e le Istituzioni sportive". Università vuol dire Tor Vergata (quindi Caltagirone, incontrato non a caso dal presidente giallorosso in una cena mesi fa), la vera alternativa a Tor di Valle insieme a un altro paio di aree, mentre l'idea di ristrutturare il Flaminio rimarrà una suggestione.

Si ricomincia, avanti il prossimo. I Friedkin incontreranno la Raggi, hanno già parlato di "stadio green", "sostenibile e integrato col territorio", tutte cose già lette e sentite decine di volte anche per altri progetti in giro per l'Italia. La verità è che la Roma ha deciso di tornare indietro di dieci anni, di ripartire da capo convinta che farà prima a costruire lo stadio da un'altra parte rispetto a quanto ci avrebbe messo proseguendo con Tor di Valle, che era comunque troppo grande e costoso rispetto all'idea, rispettabile, dei Friedkin.

Loro vogliono lo stadio e basta. Green ed economico, se possibile. Le strade e le opere pubbliche le deve costruire il Comune. A quanto pare i consiglieri più influenti, sparsi tra Trigoria, i salotti romani e le banche londinesi, non hanno ancora spiegato bene ai nuovi proprietari cosa li aspetta. Benvenuti.

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