parole in libertà
Algospeak, parole in libertà: beffare la censura dei social si può (per ora)
Secondo il Washington Post è destinato a cambiare il modo in cui comunichiamo e più in generale il nostro linguaggio. Anzi, questo processo sta già avvenendo, almeno nei Paesi anglosassoni. È l'algospeak, neologismo nato dalla fusione tra le parole che in inglese indicano «algoritmo» e «linguaggio». Di cosa si tratta? Di una sorta di gergo nato sui social network il cui obiettivo non è comunicare all'interno di una comunità ristretta senza che gli altri possano capire; tutt'altro. L'algospeak serve a parlare a tutti, aggirando però i controlli automatici dei social che fanno scattare oscuramento e «ban» in caso di contenuti ritenuti inappropriati. Il fenomeno registrato su varie piattaforme da YouTube a Instagram, da Facebook a Twitch, è diventato di massa quando milioni di utenti per lo più giovanissimi hanno iniziato a popolare TikTok, dove la tagliola dei contenuti ha recentemente portato alla rimozione di oltre 90 milioni di video.
Ma in cosa consiste questo slang? Si basa sulla creazione di parole in codice per riferirsi a termini che gli algoritmi dei social network potrebbero ritenere inappropriati. Invenzioni, sciarade ed emoticon per beffare l'intelligenza artificiale che valuta post e video delle piattaforme, di cui i moderatori in carne e ossa possono analizzare una percentuale minima. Gli ambiti più frequenti in cui si vede l'algospeak, come è facile immaginare, sono il sesso e la politica. Nel nuovo vocabolario social gli emoticon della tromba o della pannocchia all'interno di una frase, per esempio, indicano un riferimento alla pornografia, ma per ingannare l'algoritmo basta sbagliare volutamente l'ortografia o sostituire lettere con numeri. Sesso diventa «segg», omofobia «cornucopia», l'acron i m o L.G.B.T.Q «leg booty», e la parola «lesbica» viene sostituita dall'espressione «Le Dollar bean», che è il modo in cui i sintetizzatori volcali pronunciano il termine spurio «Le$bian».
L'algospeak naturalmente può essere utilizzato per aggirare i controlli e pubblicare senza conseguenze messaggi d'odio e contenuti violenti o, per vari motivi, inaccettabili. Un esempio è quello del linguaggio in codice usato nelle community dove si promuove l'anoressia o comportamenti autolesionisti. Ma spesso l'obiettivo degli utenti è evitare di essere banditi o finire nella rete della censura parecchio bacchettona dei social se si trattano argomenti sensibili, seppur in maniera del tutto lecita. Il tema è scottante: coinvolge la libertà di espressione, il dovere delle piattaforme a non promuovere odio, contenuti sessualmente espliciti e violenza, la sicurezza degli utenti e soprattutto dei più giovani. I social, dal canto, loro non stanno a guardare e cercano di porre un freno a questo fenomeno. Per capire le sfumature linguistiche dietro a una parola, però, serve un occhio umano. Gli utenti attivi sui social ormai si contano a miliardi e la maggior parte dei post vengono analizzati automaticamente dall'Intelligenza artificiale, che non è in grado di capire certe nuances semantiche. Insomma, aggirare l'algoritmo si può. Per ora.