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Videogiochi olimpici? Parla Reynor super-campione di StarCraft II: presto vedremo gli eSport in tv

Davide Di Santo
Davide Di Santo

Professionista dal 2010, bassista dal 1993, padre di gemelli dal 2017. Su Tecnocrazia scrivo di digitale e tecnologia

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Agli ultimi Italian eSport Awards, il premio promosso dall’industria dei videogiochi di casa nostra rappresentata dall’associazione di categoria IIDEA, è risultato il miglior giocatore italiano.  Ha solo diciannove anni ma Riccardo Romiti, nome di battaglia Reynor, è già un veterano dei circuiti internazionali e per molti è il miglior professionista di StarCraft II del mondo. 

Nel Dreamhack al via ieri, torneo internazionale dedicato al titolo di strategia di Blizzard, il ragazzo di Poggibonsi va a caccia di un clamoroso triplete per i colori del team QLASH

Sei stato uno dei più giovani giocatori a gareggiare nei circuiti internazionali, tanto che i primi risultati ai tornei non sono stati omologati per questioni di regolamento. Come hai iniziato?
«Ho cominciato a giocare a otto anni e a dodici mi hanno chiamato nel team mYinsanity. Sono andato per un periodo in Svizzera dove mi sono confrontato con tanti giocatori pro e sono molto cresciuto. Il primo grande risultato l’ho ottenuto nel 2016, entrando nei Top 8 del Dreamhack di Valencia. Non se lo aspettava nessuno, ero ancora piccolo e senza esperienza. E pensare che tutto era cominciato con un regalo di Natale…».

Racconta.
«Mio padre ha sempre amato i videogiochi e mi mettevo accanto a lui a guardarlo. Ho iniziato a sei anni, giocando a Diablo II. Così a otto anni, per Natale, ho chiesto un videogioco per regalo. Mi ha portato al negozio e ho scelto StarCraft II. Perché? Mi piaceva la copertina… È stato un colpo di fulmine».

Cosa lo rende diverso dagli altri giochi?
«La variabilità degli scenari di gioco ma soprattutto la competizione. Ti costringe a tirare fuori sempre il meglio di te per battere gli avversari».

Si parla di portare gli eSport alle Olimpiadi. Cosa ne pensi?
«Sono d’accordo. Come in altri sport non serve il fisico per gareggiare ma la testa e l’allenamento. E in molte parti del mondo gli eSport ormai sono importanti come le discipline tradizionali. In Canada è capitato che mi fermassero per chiedere un selfie. In Corea i tornei più importanti vengono trasmessi in tv come da noi la Champions League o le partite della nazionale». 

Succederà anche in Italia?
«Lo spero. Più lentamente rispetto ad altri Paesi ma anche da noi le cose stanno cambiando. L’idea del videogiocatore nerd isolato dal mondo è tramontata. Io faccio quello che fanno migliaia di ragazzi della mia età, la differenza è che lo faccio per lavoro».

Il lockdown ha portato più giocatori nel circuito?
«Il Covid come in altri settori ha avuto un impatto negativo per gli eventi live, e ancora oggi si compete soltanto a distanza. Ma ho notato che durante il lockdown c’è stato un aumento sensibile degli spettatori nei tornei importanti. Un bel segnale».

Studi per il diploma e sei impegnato a tempo pieno con il gaming. Come vedi il tuo futuro?
«StarCraft ha ancora un bel seguito e voglio giocare a questi livelli finché posso. In futuro vorrei continuare a lavorare nel settore». 

Nei tornei si vincono assegni a quattro zeri, senza contare le sponsorizzazioni. I tuoi preferivano che facesse il medico o l’ingegnere?
«Forse all’inizio lo pensavano. A questo punto no, gli va bene così…».
 

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