edicola degli artisti
L'arte di Valerio Piccolo: "Il mio viaggio tra musica e cinema"
Musica, cinema e letteratura. Sono le direttrici su cui si muove l’arte di Valerio Piccolo. Cantautore, viaggiatore e adattatore dei dialoghi cinematografici di alcuni tra i maggiori film degli ultimi venticinque anni. La sua «E sì arrivata pure tu» è la canzone-guida della colonna sonora di «Parthenope» di Paolo Sorrentino, in questi giorni nelle sale. L’abbiamo incontrato nell’edicola degli artisti de Il Tempo.
Valerio Piccolo, «E sì arrivata pure tu» ha un ruolo centrale nella colonna sonora di «Parthenope». Com’è riuscito a conquistare Sorrentino?
«Con Paolo ci conosciamo già da un po’ di tempo e abbiamo collaborato in altri progetti. Arrivare a questa canzone è stato un processo molto naturale. Quando l’ha ascoltata, il film era ancora nella fase di montaggio e la canzone ha colpito la sua parte visionaria. Così abbiamo iniziato questo viaggio meraviglioso che accompagnerà Parthenope anche nelle sale di Stati Uniti, Regno Unito e Francia. Sapere che dentro questa avventura c’è un mio brano è un grande privilegio e un’immensa gratificazione. Sorrentino è un regista che ha sempre la musica come forza trainante ed è un grande conoscitore della materia».
Questo nuovo brano appare come un punto di svolta nella sua carriera. È il suo primo testo in napoletano. Qual è il significato di questa scelta linguistica?
«Dentro di me c’era l’urgenza di tornare al punto di partenza. Sono nato a Caserta e non avevo mai scritto un testo in napoletano.
Questa canzone ha segnato tutta la scrittura del nuovo disco, tracciando le tematiche intime che lo caratterizzano. Certamente per me ha rappresentato una svolta interiore».
Oltre all’attività musicale, lavora anche alla traduzione e adattamento dei dialoghi per film di Tarantino, Spielberg, Fincher, Villeneuve e altri. Com’è nata questa passione parallela e come si armonizza con quella di musicista?
«Sono un traduttore da sempre. Poi casualmente mi sono spostato nel mondo del doppiaggio. Ho avuto immediatamente un certo impatto facendo una carriera atipica e cominciando subito con film di circuito. Dentro di me i due mondi sono uniti e accomunati dalla manipolazione della parola. Le esigenze metriche del doppiaggio, infatti, sono le stesse che può avere una canzone. È la fusione delle due metà della mia vita».
In passato ha vissuto anche a New York dove ha collaborato, tra gli altri, con Suzanne Vega traducendo in italiano un suo libro di poesie e racconti. Che influenza ha avuto su di lei?
«Con Suzanne c’è una grande affinità artistica. Siamo stati in tournée anche in Italia con un reading-concerto.
Un’esperienza molto particolare confluita poi nella musica. Abbiamo anche duettato in un brano. Da quel periodo ho imparato tantissimo».
Il suo rapporto con la poesia è proseguito fino alla pubblicazione dell’album «Poetry» dove ha musicato poesie di Rick Moody, Jonathan Lethem e la stessa Suzanne Vega. Quando ha capito che era arrivato il momento di mettere la traduzione dentro la sua musica?
«Erano scrittori che conoscevo molto bene e ho chiesto loro di regalarmi una poesia. Con alcuni è nata un’amicizia durata fino a oggi. È stato un modo per entrare in quella comunità».
Quali sono le differenze tra la scena musicale newyorkese e quella italiana?
«Le difficoltà e la sofferenza dell’emergere sono simili. Anche negli Stati Uniti c’è tanta competitività. La differenza è che il pubblico di New York ha una spiccata predisposizione all’ascolto. In Italia si tende a restare nella propria comfort zone, preferendo locali dove si esibiscono le cover band. Negli Stati Uniti, invece, c’è maggiore apertura verso le nuove proposte e si entra nei locali per scoprire anche cose diverse. In Italia questa abitudine non esiste quasi più e, per un esordiente, suonare live è meno gratificante. Quando mi sono esibito oltreoceano ho sempre percepito grande curiosità ed energia attorno a me. Nel Village ho cantato in italiano in club dove avevano suonato anche Joni Mitchell, Bob Dylan e Lady Gaga. Sono luoghi dove c’è cultura e predisposizione all’ascolto. È stata una grande fonte di ispirazione».
Tornando all’Italia, come giudica la nuova onda napoletana di rapper e trapper?
«È una questione che va affrontata con delicatezza. Molti tendono a sparare a zero. Invece i trapper hanno trovato un linguaggio per parlare ai giovani. E quella chiave va rispettata. Hanno trovato una comunicazione con un pubblico che non è facile da raggiungere. La scena trap napoletana è il segno di una città che, quando riesce a riconoscere il suo potenziale, dimostra di avere una marcia in più rispetto al resto d’Italia. Questo potenziale riaffiora anche nella nuova onda musicale che usa il napoletano come lingua d’espressione».
Oltre a «E sì arrivata pure tu», il suo nuovo album «Senso» è appena stato pubblicato in digitale. Quando verrà pubblicato anche in formato fisico?
«L’edizione in vinile uscirà tra febbraio e marzo e conterrà una sorpresa: un nuovo brano ancora in cantiere».