Alex Britti svela il gran finale nella Capitale: "Tanta Roma nelle mie canzoni"
Un concerto nella sua Roma, un nuovo singolo e tante altre canzoni pronte. Alex Britti, ci è venuto a trovare nell’edicola degli artisti de Il Tempo.
Alex, siamo di fronte a Palazzo Chigi. Che sensazioni prova?
«Il centro di Roma è una zona che non frequento più molto spesso. La mia infanzia l’ho passata qui vicino perché vivevo a Monteverde vecchio. Qui venivo a piedi con gli amici il sabato pomeriggio a fare le «vasche» su via del Corso o in Galleria Colonna. Quando torni in un posto dell’infanzia c’è un’ emozione speciale».
Come la vede Roma in questo momento?
«Abbiamo avuto un po’ di gestioni particolari. Ciclicamente le grandi città vivono cambiamenti sostanziali.
Roma è capitata in un momento storico in cui c’è stato un cambiamento importante e le gestioni che abbiamo avuto non sono state al passo col cambiamento. Resta una città meravigliosa ma è un passo indietro rispetto a dove sarebbe dovuta essere».
Quanta Roma c’è nelle sue canzoni?
«Ce n’è abbastanza. Io passo da Roma al blues senza passare dall’Italia. A casa mia e nei viaggi in macchina con i miei genitori ascoltavamo Gabriella Ferri, Lando Fiorini e Franco Califano.
Non si ascoltava la musica italiana ma quella romana.
Quando ho provato ad allargare un po’ la forchetta sono passato direttamente al blues e al jazz. Da ragazzino i miei miti erano Edoardo Bennato, Stefano Rosso, Francesco De Gregori e Antonello Venditti. Quindi Roma è sempre stata molto presente».
Il 18 ottobre la sua tournée vivrà il gran finale al Palazzo dello Sport dell’Eur. Cosa sta preparando per quella data?
«L’estate scorsa abbiamo fatto 30 serate con un live particolarmente acceso. Il mio è un concerto di canzoni conosciute ma il pubblico ha la sensazione di assistere a un concerto blues o jazz. Finalmente sono riuscito a fondere le mie canzoni con la chitarra. Come Eric Clapton o Steve Ray Vaughan. È una sorta di greatest hits e di celebrazione degli anni Duemila con le mie canzoni più famose ma il pubblico va via stordito per la quantità di chitarra blues e jazz. È un concerto in cui è protagonista la musica. Al contrario oggi spesso i concerti sono soprattutto spettacoli. Io non ho molti effetti speciali quindi sono un passo indietro come effetti speciali ma un passo avanti musicalmente».
Sta preparando sorprese per il pubblico del 18 ottobre?
«Ci sarà qualche ospite. Saranno i miei amici, quelli con cui ho condiviso il mio lavoro negli anni. Sarà un concerto un po’ più lungo del solito con qualche chicca più intimista e delicata. E ci sarà anche un momento acustico».
Qualche settimana fa è uscito il nuovo singolo «Uomini». Qual è il significato del brano?
«Sotto il travestimento da canzoncina estiva e spensierata si nasconde un messaggio. L’Italia l’ho sempre considerata un’isola che galleggia nel Mediterraneo. Finalmente ho avuto la sensazione che quest’isola galleggiante si sia spostata verso l’Europa e un po’ distaccata dal nord Africa. Abbiamo allargato la nostra visuale. Anche Sanremo è cambiato».
Si spieghi meglio.
«Negli anni ’60 e ’70 un uomo che partecipava al Festival ci andava con una divisa e con l’abito scuro. Oggi, invece, abbiamo Achille Lauro, Marco Mengoni e i Maneskin che sul palco di Sanremo si vestono come vogliono senza essere additati in alcun modo. Quando c’è libertà estetica ci può anche essere libertà di pensiero. Un tempo quello che eri dovevi tenerlo in tasca e solo raramente potevi tirarlo fuori. È una libertà importante».
Ora ci tornerebbe sul palco dell’Ariston?
«Se mi invitano ci vado volentieri. Due anni fa sono stato ospite nei duetti con LDA. D’estate ho partecipato varie volte a Sanremo jazz. E continuo ad andare in quella zona perché mi piace il mare e mi piace mangiar bene. Sono pronto a tornare».