live da record

Delirio Coldplay, a Roma tripudio rock da 260mila persone

Si è concluso il ciclo di quattro concerti che i Coldplay hanno tenuto all'Olimpico di Roma. E allo stadio è capitato perfino di assistere a vere e proprie proposte di matrimonio. Chris Martin sta intonando «Fix you». All’improvviso sugli spalti si apre un’ala di folla. Un ragazzo si inginocchia e, nel rumore assordante, offre il suo anello pronunciando una frase romantica. Visibilmente emozionato. Lei lo abbraccia incredula e lo bacia. Attorno il tempo si ferma e, sul bacio finale, scatta l’applauso del pubblico che si confonde con le ovazioni per la band britannica. A officiare il rito sono proprio loro: Chris Martin, Jonny Buckland, Guy Berryman e Will Champion. «Grazie per averci aspettato 21 anni, benvenuti a tutti. Vi voglio bene», aveva detto il cantante qualche minuto prima ai 65mila dell’Olimpico che sono diventati 260mila alla fine delle 4 serate sold-out. Il «Music of the Spheres World Tour» è pura magia. Colori che esplodono, luci sfavillanti, braccialetti wireless che si illuminano a tempo di musica creando coreografie sorprendenti. Atmosfere che mandano in delirio i fan arrivati a Roma da mezzo mondo. C’è la ragazza statunitense che viaggia da sola per l’Europa e non vuole perdere l’appuntamento con la band del cuore. E chiede a tutti di scattarle una foto con il palco sullo sfondo. C’è la coppia innamorata che ripercorrerà la sua storia attraverso ventidue canzoni. C’è la famigliola al gran completo che ha messo i soldi da parte per esserci a ogni costo portando con sé anche i figli piccoli cresciuti sulle note dei Coldplay e che oggi giocano sui seggiolini dello stadio. Ma soprattutto c’è la magia dei Coldplay. Quattro ex ragazzi inglesi che, in poco più di vent’anni, hanno ridefinito i confini del rock. Lo hanno portato oltre le sfide dell’elettronica, inventando una nuova centralità per quella vecchia formula dura a morire: voce, basso, chitarra e batteria. Sono stati in grado di reinventarsi continuamente, arricchendo il loro sound con innesti digitali che strizzano l’occhio al pop e persino alla dance.

 

  

 

Il tuo browser non supporta il tag iframe

 

 

Il concerto parte sulle note dell’iconica colonna sonora di E.T. di Steven Spielberg. Poi la band sale sul palco e l’urlo dagli spalti si fa assordante. Il concerto «galattico» è diviso in quattro parti: Planets, Moons, Stars e Home. Il viaggio interplanetario si materializza nei palloni luminosi che volteggiano sulle teste degli spettatori. Si comincia con «Music of the spheres» per attraversare via via più di vent’anni di successi. Le luci intermittenti che si alzano dai polsi accompagnano «Viva La Vida» e «Hymn for the Weekend». L’intento dei Coldplay è quello di trasformare l’Olimpico in un unico grande cuore pulsante. E ci riescono alla perfezione. Basta guardarsi intorno e ci si sente parte di un’unica astronave in viaggio tra le stelle. Il segreto dello show è che ognuno dei 65mila presenti viene coinvolto nello spettacolo. Chris Martin canta per ognuno di loro. Invita perfino una ragazza dal pit a salire sul palco per cantare una canzone a richiesta: si chiama Rebecca e si squaglia dall’emozione. Poi sui maxischermi accanto al palco vengono proiettati gli altri volti del pubblico: tra loro Roberto Gualtieri, Alessia Marcuzzi e Sua Maestà Roger Federer. Martin gli dedica uno «stornello» improvvisato alla chitarra e il campione arrossisce. Poi fa una richiesta esplicita. Su «A Sky full of Stars» chiede a tutti di mettere «il cellulare in tasca, per cinque minuti. Almeno per una canzone. Alzate le mani - dice - oppure abbracciatevi e ballate». È subito accontentato. E non mancano riferimenti alle guerre in corso e il richiamo al rispetto dei diritti Lgbtq+ con il frontman avvolto nella bandiera arcobaleno. Sulla canzone «My Universe» fa inquadrare la sua maglietta con la scritta: «Everyone is an alien somewhere». Lo show volge al termine. Braccialetti e occhiali 3D devono essere riconsegnati per la gara mondiale di riciclaggio. Per i Coldplay è una vera missione ecologica. Luci, fuochi d’artificio e cuori si alzano al cielo sul gran finale di «Feelslikeimfallinginlove». Ma quando il fumo degli ultimi fuochi d’artificio si disperde nella notte, la verità resta la stessa. Oltre il flusso delle auto che ha intasato la Capitale all’uscita dallo stadio. La magia di quattro musicisti che sul palco sudano e suonano. Davvero. Continuando a cantare la loro anima. Anche sotto il cielo di Roma.