Intervista
La verità dei The Kolors: "Perché a Sanremo abbiamo vinto noi"
Un nuovo singolo appena uscito e già balzato in cima alle classifiche radiofoniche. «Karma» si candida a diventare uno dei tormentoni dell’estate ma i The Kolors non si accontentano e, nell’edicola degli artisti de Il Tempo, annunciano il loro primo tour europeo pieni di entusiamo ma con la consapevolezza che la strada da percorrere è ancora tanta.
The Kolors, il vostro nuovo singolo «Karma» è già in cime alle classifiche. Com’è nata l’ispirazione per il brano?
«La canzone l’abbiamo scritta la notte dopo il nostro primo concerto al Forum di Assago. Eravamo carichi di adrenalina e avevamo ancora tanta voglia di suonare. Siamo scesi nello studio sotto casa ed è nato un pezzo molto energico. Ci serviva un brano ancora più veloce degli altri. Noi facciamo del citazionismo anni ’80 la nostra formula e abbiamo subito pensato a un double tempo. E ci sono venuti in mente «Enola Gay» e «Take on me». Ci si è accesa la lampadina e il nuovo singolo era già pronto».
Cosa vi lega alle sonorità degli anni ’80?
«Siamo cresciuti in case piene di strumenti. Tra gli anni ’70 e ’80 i nostri genitori suonavano in una band e questa cosa ci ha dato la possibilità di familiarizzare con gli strumenti. Più tardi abbiamo amato il concetto di essere diversi da quello che già c’è che è poi la base dell’approccio artistico degli anni ’80.
Sono stati l’ultima decade in cui se ti dicevano che assomigliavi a qualcuno non era un complimento ma la prendevi come un’offesa. Volevi essere diverso. Se negli anni ’80 uscivi con un nuovo progetto dovevi essere anche un po’ scomodo. Oggi invece, soprattutto tra gli emergenti, quando si viene paragonati a gente come Justin Bieber o Taylor Swift lo si prende come un complimento. A noi piace pensare che ci sia ancora la ricerca della diversità».
Secondo voi nella musica di oggi c’è troppa omologazione?
«Si è un po’ amalgamato tutto in un determinato tipo di sonorità. Non stiamo criticando questo approccio ma noi abbiamo deciso di proseguire in una direzione diversa. Siamo sempre stati affascinati dall’essere qualcosa che non c’era. La nostra «Italodisco», per esempio, cita il genere omonimo ma lo declina al presente. Anche mixando cose diverse si può trovare qualcosa di unico, originale e genuino».
A Sanremo ci siete stati nel J 2018 con «Frida (mai, mai, mai)» e quest’anno con «Un ragazzo, una ragazza».
Com’è cambiato il Festival negli anni?
«Ci è sembrato di essere in due epoche diverse. Nel 2018 la gara e la classifica si sentivano molto di più. Tutto quello che succedeva all’Ariston si ripercuoteva sulle radio. Quest’anno, invece, non è stata la stessa cosa. Abbiamo notato che il clima di gara non era poi così forte. Tutti quelli che hanno partecipato hanno preso la propria fetta di torta. Il nostro sogno era andare a Sanremo per consolidare il nostro nuovo suono ripartito da «Italodisco» con l’obiettivo di fare tanta radio. Ed esattamente un mese dopo Sanremo siamo diventati primi in radio. Quindi, a modo nostro, abbiamo vinto il nostro Sanremo come l’ha vinto qualcun altro che non è arrivato primo o secondo. Per me anche Rose Villain e Mahmood hanno vinto Sanremo. E non sono tra i nomi che stavano nelle prime cinque posizioni. La differenza sostanziale è che lo show televisivo dura una settimana mentre la vetrina che offre è diventata ancora più potente».
Tra poco partirà il vostro primo tour europeo. Cosa vi aspettate da questo appuntamento?
«Il nostro vero obiettivo è che il tour europeo diventi qualcosa di produttivo e costruttivo. Ci teniamo a coltivare bene il progetto The Kolors nei Paesi dove effettivamente siamo andati forte con «Italodisco». Per noi è un traguardo gigantesco. Sin da ragazzini sognavamo di fare un tour fuori dall’Italia ma ci tengo a dire che non ci sentiamo affatto arrivati. Abbiamo ancora tanto da consolidare, anche in Italia».
Come immaginate i The Kolors tra dieci anni?
«Qualcosa di solido che è cresciuto nel tempo. Gradualmente. Insomma non vogliamo un’esplosione e basta».