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Morgan festeggia 50 anni in concerto al Teatro Parioli di Roma

Carlo Antini
Carlo Antini

Parole e musica come ascisse e ordinate

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Marco Castoldi in arte Morgan è un fiume in piena. Come sempre. Da Sanremo alla sciatteria con cui viene trattata la cultura in Italia, dai talent show agli effetti del lockdown. Ne ha per tutti alla vigilia del concerto al Teatro Parioli di Roma dove festeggerà i suoi primi 50 anni.
Morgan, cos’ha preparato per il Parioli?
«Ci sarà Morgan come non l’avete mai visto. Negli ultimi anni sono stato ostracizzato e il pubblico non ha avuto la possibilità di conoscermi. Sul palco del Parioli porterò in scena la mia evoluzione musicale dagli inizi fino ad oggi con orchestra d’archi e ospiti a sorpresa. Finalmente il pubblico capirà chi sono davvero».
Quale bilancio fa dei suoi primi 50 anni?
«Diciamo che ho messo le basi per fare sul serio. La mia vita musicale comincia adesso. Sto pensando alla scrittura delle mie canzoni e alla salvaguardia del patrimonio musicale italiano».
A proposito di patrimonio italiano, recentemente si è parlato di un suo possibile incarico come consulente del ministero dei Beni culturali. Quale sarebbe stata una delle iniziative che avrebbe voluto realizzare?
«Certamente potenziare l’insegnamento della musica nelle scuole dove oggi è praticamente assente. La musica nasce dall’incontro tra la matematica e l’umanesimo e dovrebbe essere alla base di ogni corso di studi. Ma in Italia la cultura è messa sotto i piedi».
Cosa intende dire?
«Purtroppo il nostro Paese è completamente paralizzato dal punto di vista culturale. In Italia c’è la falsa convinzione che la saggezza consista nel non dire e non esporsi: c’è la paura di avere paura. Io e Sgarbi non abbiamo paura ma siamo mosche bianche. Qui c’è un torpore generale che congela qualsiasi tipo di progetto bloccandolo ancor prima di poter essere realizzato compiutamente. È un po’ quello che accade con i cantanti dei talent show».
Perché? Cosa accade ai cantanti dei talent show?
«Quando sono all’interno dei programmi televisivi li vediamo e li ascoltiamo in un modo. Poi, quando escono fuori, la discografia li cambia e li deforma. Tutto questo accade solo da noi perché siamo particolarmente incuranti e perché l’Italia si è involuta culturalmente. Le cose si fanno solo se c’è la prospettiva di fare soldi. Un tempo l’Italia era la patria del Grand Tour ma, di questo passo, da noi non verranno più nemmeno i turisti».
Questa condizione di emergenza culturale riguarda anche la musica?
«In Italia la musica è morta, senza un minimo di invenzione. Non c’è più armonia e bravura. Il mio giudizio riguarda sia i cantautori che rapper e trapper che dovrebbero proprio ripartire dalle scuole elementari. In Italia si pensa solo alle lobby di interesse e ai passaggi televisivi e la musica ne esce sconfitta».
Il Festival di Sanremo lo guarderà?
«Gli darò una sbirciata ma oggi Sanremo è l’esempio della non-canzone».
Se fosse lei il direttore artistico come sarebbe il suo Festival?
«Sarei sicuramente più vivace perché attingerei dalla verità della realtà musicale italiana. Ci sono giovani musicisti e autori fantastici che la gente non conosce perché quel che si vede a Sanremo è il mondo delle multinazionali dei prodotti confezionati. Mica è solo lì la canzone italiana! Sanremo è un concorso di Stato trasmesso dalla rete di Stato. Tutti hanno diritto di partecipare alle selezioni».
 

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