Le musicassette tornano di moda, quali sono le popstar vittime del vintage
Popstar vittime dell’effetto vintage. Persino Dua Lipa ne è rimasta coinvolta. Le musicassette sono tornate alla ribalta e, sempre più spesso, diventano le edizioni limitate dei nuovi album. Il mercato discografico sta dando segni di ripresa non solo grazie al digitale ma anche col ritorno vintage del supporto fisico. I dati parlano chiaro. Nel 2020 nel Regno Unito sono state vendute 157mila musicassette e il giro d’affari è più che raddoppiato rispetto all’anno precedente. L'Italia segue a ruota e, prima della pandemia, circa il 40% del fatturato era costituito da vendite fisiche (vinili, cd e musicassette). A parlarcene è Sergio Cerruti, presidente dell’Associazione Fonografici Italiani e vicepresidente di Confindustria Cultura.
Sergio Cerruti, nell’epoca della musica liquida come spiega il ritorno delle musicassette?
«Innovazione e vintage vanno a braccetto. C’è bisogno di tecnologia e parallelamente c’è spazio per l’effetto nostalgia. Insieme al 5G c’è la riscoperta di Battisti e del funky anni Settanta. In una società sempre più intangibile emerge il desiderio di cose tangibili».
Quali sono le musicassette più vendute?
«Ci sono artisti che hanno venduto fino a 8mila copie di un solo album. Dua Lipa ha stampato il suo "Future Nostalgia" in versione limitata in musicassetta addirittura in tre colori diversi».
Ci può fare l’identikit di chi le compra?
«Sono soprattutto le generazioni intermedie e i giovanissimi che scoprono il fascino del vintage. Le musicassette sono legate all’immaginario del walkman. Molti ragazzi non hanno neppure i mezzi tecnici per ascoltarle ma le comprano ugualmente. Sono scatolette di plastica trasformate in feticcio. D’altronde se ami un artista non puoi viverlo solo come brano all’interno di un telefonino».
L’Italia come affronta questo risveglio vintage?
«Siamo all’alba di un nuovo passato. Da noi c’è un’etichetta che stampa solo musicassette in edizione limitata. Io stesso ho appena comprato un apparecchio che consente di riversare vinili, cd e musicassette direttamente su una chiavetta usb».
Sanremo è appena finito e arrivano le prime classifiche. Ma sulle vendite quanto incide davvero il Festival?
«Molto poco. Fino alle ultime edizioni, le canzoni di Sanremo costituivano circa l’1,5% del fatturato. Con Amadeus qualcosa è cambiato perché ha scelto canzoni più radiofoniche ma parliamo sempre di cifre che si aggirano attorno al 3%. Il Festival sposta poco. Sono soprattutto i passaggi radiofonici che fanno vendere i dischi e senza un buon prodotto non si riempiono gli stadi. A Sanremo prevalgono scelte economiche e la vera vittima diventa la musica».
Che intende dire?
«Che al Festival l’arte viene sventolata ma non conta più di tanto. Le cifre che percepiscono i cantanti come rimborso spese sono infinitesimali rispetto al giro d’affari che muovono. Guadagna più il Comune di Sanremo che tutti i cantanti messi insieme».
Musicassette a parte, come sta oggi il mercato discografico italiano?
«Stiamo tornando ai livelli del 2000 che per noi è stato l’anno zero. Oggi il mercato si sviluppa con crescite a due cifre ed è trainato dagli store digitali, dalla fame di banda e dalla facilità di accesso ai contenuti».
La pandemia si fa sentire?
«Il Covid ha bloccato le persone a casa. Chi prima ascoltava la radio in macchina si è riversato sul digitale e sono aumentati gli abbonamenti streaming e i download. Gli imprenditori digitali con cataloghi importanti stanno prosperando e YouTube e Spotify hanno avuto una spinta fortissima. A pagare il prezzo maggiore è il settore del public performance, cioè concerti live e locali, che ha registrato un calo addirittura del 90%».
La politica sta facendo qualcosa per sostenere chi è in difficoltà?
«Il Ministero dei Beni culturali è decisamente bocciato all’esame di musica. C’è un ministro che è appassionato d’arte ma al ministero non sanno nemmeno che lavoro facciamo. Ho sempre trovato scarsa preparazione e così è difficile approvare buone leggi».
Di cosa ci sarebbe bisogno?
«Innanzitutto di una direzione generale dedicata alla musica con tecnici preparati e dedicati al settore. E poi un cambiamento della politica fiscale. Perché l’Iva sui dischi deve essere diversa rispetto a quella su libri e film? Il paradosso è sotto gli occhi di tutti».