Da Bruce Springsteen a Tina Turner, le rockstar vendono tutto
Bruce Springsteen, Bob Dylan, Paul Simon, Tina Turner e Neil Young. E ancora Shakira, David Crosby, Dire Straits e Fleetwood Mac. Sono sempre di più rockstar e popstar che vendono i diritti delle loro canzoni a etichette discografiche e fondi di investimento internazionali, liquidano il loro catalogo milionario e incassano cifre a sei zeri.
Solo per fare qualche esempio, alla fine dell'anno scorso Universal Music Group ha pagato quasi 400 milioni di dollari per comprare il catalogo di Bob Dylan. Tina Turner non è stata da meno e ha venduto alla Bmg i suoi diritti d'autore e d'immagine. Non si conoscono i dettagli dell'operazione ma l'azienda l'ha definita come l'acquisizione più grande della sua storia. «Come per ogni artista, proteggere il lavoro di una vita e la mia eredità musicale è una faccenda personale - ha detto la Turner - Sono sicura che, con Warner Music e Bmg, il mio lavoro sarà nelle mani di professionisti affidabili». Ultimo big in ordine di tempo Bruce Springsteen che, solo qualche settimana fa, ha venduto i diritti di pubblicazione e i master dei dischi alla Sony per una cifra totale di 500 milioni di dollari. E non è finita qui. Nel 2019 il fondo di investimento Hipgnosis ha acquistato i diritti di Johnta Austin (che ha scritto per Mary J. Blige e Mariah Carey) e Sean Garett (Beyoncé, Usher, Ciara). Ha anche acquistato il catalogo di Timbaland che comprendeva sei dischi di Missy Elliott e cinque di Justin Timberlake.
Concord Music Group ha comprato i diritti del catalogo degli Imagine Dragons, pare per una somma a nove cifre. Calvin Harris ha venduto il suo a Vine Alternative Investments mentre i diritti di Taylor Swift sono stati ceduti a Shamrock Capital. E le acquisizioni riguardano anche grandi star del passato come Bob Marley, il cui catalogo è stato ceduto a Primary Wave per 50 milioni di dollari. Ma perché anche le grandi rockstar più affermate decidono di liquidare tutto il loro catalogo? Di cedere di fronte alla tentazione di incassare cifre da capogiro e rinunciare ai ricavi futuri? Il primo motivo risiede certamente nel momento di grande incertezza che vivono le star. Molti di questi accordi milionari sono stati siglati durante la pandemia e a causa dello scenario desolante caratterizzato da concerti off-limits, le cui conseguenze sono state disastrose sui bilanci di musicisti e addetti ai lavori. «Data l'impossibilità di lavorare questo tipo di accordo è una benedizione», ha ammesso David Crosby, i cui problemi economici non sono mai stati un mistero. Così i musicisti stanno incassando immediatamente quanto pattuito lasciando a società specializzate i proventi futuri provenienti dall'utilizzo delle opere.
Tra loro anche Neil Young che si è perfino giustificato con i fan: «Il tempo passa e voglio mettere al sicuro la mia famiglia e la mia arte. Un buon padre di famiglia deve prevedere come prendersi cura dei figli». Discorso analogo per Bob Dylan che ha appena compiuto 80 anni e sta certamente pensando a cosa lasciare in eredità ai suoi 6 figli. Un assegno di 400 milioni è indubbiamente più facile da dividere rispetto a meri diritti di copyright. Da non sottovalutare neppure la molla fiscale: vendere i diritti e incassare un unico assegno milionario tassato al 20% sembra la scelta più conveniente.
Ma anche lo streaming ci ha messo lo zampino. Nei mercati più maturi come Usa e Regno Unito l'aumento delle entrate online sta rallentando considerevolmente. E ci si chiede: quanto potrà crescere l'industria discografica? Cosa succederebbe se nei prossimi 20 anni nascesse una nuova innovazione tecnologica «pericolosa» per gli artisti? Sulle piattaforme digitali appaiono decine di migliaia di nuove canzoni al giorno e ogni anno esplodono nuove hit. Che fine faranno i grandi classici? Come può un veterano del rock essere sicuro che sarà popolare anche solo tra 10 anni? Di fronte a un pagamento unico e garantito molti artisti hanno fatto il loro gioco vendendo, in un colpo solo, gallina vecchia e uova d'oro.