Charlie Watts va fuori tempo, addio al battito rock
Per una volta sono andato fuori tempo». Charlie Watts ha scherzato fino all’ultimo. Anche quando ha comunicato ai sodali Jagger, Richards e Wood che non avrebbe partecipato al prossimo tour dei Rolling Stones. Non è stato facile per uno che in quella band è entrato nel ’63 e ne è stato la colonna portante per quasi 60 anni. Un pugno nello stomaco per chi della sobrietà ha fatto uno stile di vita. Mai una sbavatura, perfino negli anni bui della dipendenza da eroina. Sofferenze vissute nel privato, senza clamore. Ne era uscito più forte di prima. Aveva ricominciato a suonare come fosse immortale. Con tutto il cuore del rock.
E proprio il cuore l’ha tradito. Agli inizi di agosto era stato sottoposto a un intervento chirurgico. Aveva fatto sapere che non avrebbe preso parte alle prove del «No Filter Tour» che partirà il 26 settembre da Saint Louis. Poi la convalescenza in un ospedale di Londra. «Sto lavorando duramente per tornare in forma - aveva detto - ma ora devo accettare, su consiglio dei medici, di fermarmi per riposare. Dopo tutte le delusioni patite dai fan a causa del Covid non voglio che debbano accettare un ulteriore rinvio». Su Twitter anche Keith Richards aveva scritto: «È un duro colpo per tutti noi, speriamo che Charlie si riprenda completamente e torni il prima possibile».
Invece non ce l’ha fatta. Charlie Watts aveva 80 anni. Li aveva compiuti il 2 giugno. Era uno dei più grandi della sua generazione. Tranquillo ed elegante, con Keith Moon e Ginger Baker era un batterista rock di primissimo piano. Amato e rispettato per il suo stile, ha contribuito a portare i Rolling Stones dagli inizi avventurosi al livello di superstar internazionali. La band ha iniziato «come tizi bianchi inglesi che suonavano musica nera americana», ha raccontato Watts, ma poi ha sviluppato rapidamente il suo sound distintivo. È stato anche un batterista jazz e non ha mai perso l’affinità con le sonorità che amava di più. Ma il meglio di sé l’ha dato in quell’inconfondibile incontro di blues e rock che sono i Rolling Stones. «Per me - diceva Watts - il blues era Charlie Parker quando suonava lentamente» e probabilmente, fu questa la fortuna della band, tant’è che se da fuori era considerato il meno Stones degli Stones, per gli altri membri, come più volte affermato da Richards, si trattava di un collante di inestimabile valore. Innanzitutto umano: era l’unico in grado di mediare tra le prime donne Jagger e Richards. Poi musicale: i Rolling Stones sarebbero stati diversi senza quel tocco, quel ritmo, quel battito di cuore. Capolavori come «Brown Sugar» e «Start Me Up» iniziavano col riff di chitarra di Richards, con Watts che lo seguiva e Wyman, come amava dire il bassista, che contribuiva a «irrobustire il suono». La velocità e la potenza di Watts non sono mai emersi meglio che nel documentario «Shine a Light»: Martin Scorsese ha filmato la canzone «Jumpin’ Jack Flash» e Watts iniziava a battere il tempo già dietro le quinte.
Alla notizia della morte, tutti si sono inchinati per rendergli omaggio. Anche gli ex-Beatles. Paul McCartney su Twitter lo ha ricordato come «un ragazzo adorabile» e «un batterista fantastico» che era «costante come una roccia». Ringo Starr ha scritto: «Dio benedica Charlie Watts, ci mancherai amico».
Nella prossima tournée Watts sarà sostituito da Steve Jordan ma il suo cuore traditore continuerà a battere lo stesso sulle pelli di tutte le batterie che, d’ora in poi, accompagneranno Jagger, Richards e Ronnie Wood. Esattamente lì dove suonano gli Stones.