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Jim Morrison poeta, l'altra faccia del mito

Carlo Antini
Carlo Antini

Parole e musica come ascisse e ordinate

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«La vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità, apre tutte le porte e voi potete passare per quella che preferite». Jim Morrison non fu solo il leader carismatico dei Doors, band icona del rock nella seconda metà degli anni ’60. Fu autentico divoratore di libri e dedicò la sua vita all’amore per la poesia. I suoi «numi» furono poeti e intellettuali in conflitto con i valori della tradizione: su tutti William Blake, Friedrich Nietzsche e Arthur Rimbaud. Fin dai tempi del liceo, Morrison riempì diari e taccuini con poesie ricche di immagini a forte carica mitologica e simbolica, derivate dal classicismo, dalla cultura sciamanica e tribale ma anche da esoterismo, beat, psicanalisi e antropologia.

Nonostante non si fosse mai sentito pienamente apprezzato come poeta, nel ’69 scrisse una commossa poesia ispirata alla morte di Brian Jones, «Ode a Los Angeles col pensiero a Brian Jones, deceduto». Nel ’70 diede alle stampe il poema «An American Prayer» e pubblicò due raccolte intitolate «I Signori» e «Le Nuove Creature». Registrò molti versi anche su nastro magnetico e continuò a riempire di liriche centinaia di taccuini e foglietti volanti poi riuniti nelle raccolte «Deserto» e «Notte Americana».

Gran parte della sua produzione letteraria, però, resta ancora pressoché sconosciuta. Soprattutto quella costituita dai diari custoditi, dopo la sua morte, nel caveau di una banca. A 50 anni dal 3 luglio 1971, data della sua misteriosa e prematura scomparsa, la sorella Anne Morrison Chewning fa luce sul Morrison poeta. È appena uscito negli Usa il volume «The collected works of Jim Morrison»: 600 pagine che raccolgono l’opera completa dell’artista statunitense. Quando Ann ebbe accesso agli scritti e ai taccuini rimase a dir poco incredula: «Non mi rendevo conto di quante carte avevamo trovato», ha detto. In cassaforte c’erano 28 diari che Jim aveva riempito con pensieri, poesie, idee per sceneggiature cinematografiche e testi per canzoni. C’era anche un documento intitolato «Progetto per un libro», grazie al quale Ann ha potuto riordinare i testi esattamente come avrebbe voluto suo fratello.

Ed è proprio per seguire il suo amore per la letteratura che, nei primi mesi del ’71, Jim Morrison si trasferì a Parigi con la compagna Pamela Courson. Le registrazioni di «L.A. Woman» erano terminate da una manciata di giorni. Così Morrison si sentiva finalmente libero dagli obblighi contrattuali con la casa discografica Elektra. Di nuovo poteva fare della sua vita quello che voleva. Ormai da tempo era stanco dell'ambiente musicale, stanco di non poter dare libero sfogo alla sua natura. Soprattutto sul palco. Le sue condizioni fisiche, però, stavano progressivamente peggiorando. Alcol e droga avevano già preso il sopravvento, tanto da costringere la band a interrompere l’attività dal vivo. A Parigi Jim e Pamela trovarono rifugio in un appartamento messo a disposizione da alcuni amici. Lì il cantante dei Doors si ritirò completamente nella scrittura: poesie, versi e perfino sceneggiature per il cinema, l'altra sua grande passione fin dall’adolescenza. Fino alla fine cercò di attraversare quelle porte della percezione nelle quali, però, rimase incastrato. Senza trovare la via del ritorno. Un universo artistico complesso al quale avrebbe dato piena forma se non fosse scomparso improvvisamente nella notte tra il 2 e il 3 luglio 1971.

La fine del «Re Lucertola» resta tuttora avvolta nel mistero. Il corpo venne trovato in piena notte nella sua vasca da bagno ma la ricostruzione delle ultime ore si basa solo sulle parole di Pamela che fece passare molto tempo prima di chiamare i soccorsi. Anche le indagini della polizia furono sommarie. Il medico legale giunse in ritardo e fece una relazione superficiale: non furono approfondite le cause dei lividi né furono eseguite autopsie o esami tossicologici. Si parlò semplicemente di arresto cardiaco e le indagini furono chiuse solo qualche giorno dopo. La notizia della morte fu diffusa a funerale già concluso.

Solo la poesia riuscì a regalargli gli ultimi sprazzi di creatività. Fino all’estremo, confuso saluto al mondo: «Quale delle mie cellule saranno ricordate. Arrivederci America, ti ho amato». O come cantò in uno dei suoi testi più celebri: «This is the end / My only friend / The end».
 

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