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Phil Collins, i 70 anni della star più odiata del rock

Carlo Antini
Carlo Antini

Parole e musica come ascisse e ordinate

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Phil Collins non ci crede di aver venduto più di 150 milioni di copie dei suoi album da solista. Non male per uno diventato cantante per caso. Certo, in «For Absent Friends» di «Nursery Crime» e «More fool me» di «Selling England by the pound» si era già cimentato come voce solista dei Genesis. Ma si trattava di episodi sporadici. Puro divertissement. Per il resto solo tanti cori e batteria. Almeno fino a quando Peter Gabriel non diede il ben servito alla band. Da allora centinaia di provini per trovare un degno sostituto. Senza esito. D’altronde di Gabriel ne nasce uno ogni cent’anni. Che fare allora? Semplice, iniziò a cantare lui. Nacque così il divo Phil Collins, straordinario uomo qualunque che ha appena festeggiato 70 anni.

 

 

Non è da tutti essere una delle popstar più ricche e, allo stesso tempo, una delle più criticate dalla stampa specializzata e dai fan della prima ora. Collins è tutto e il contrario di tutto. Autore romantico e vincitore di Grammy e premi Oscar, narcisista accusato di opportunismo e bieco calcolatore. Come quando pubblicò “Another Day in Paradise” in cui il tema dei senzatetto è trattato senza particolare partecipazione emotiva. I fan più oltranzisti non gli perdonano di aver convertito il sound sperimentale e progressivo dei primi Genesis verso il pop commerciale a cui Collins condusse la band dopo esserne diventato il leader indiscusso. E ci fu perfino chi lo definì “l’uomo più odiato del rock”, “la popstar che non piace a nessuno” e il suo “No Jacket Required” album “inascoltabile al giorno d’oggi”. Ciliegina sulla torta la decisione di abbandonare il Regno Unito per trasferirsi in Svizzera. Lui si giustificò dicendo che lo fece per avvicinarsi alla compagna Orianne Cevey ma, all’epoca, molti insinuarono che la realtà fosse ben altra e riguardasse la voglia di fuggire dalle esose imposte di Sua Maestà. C’è voluta la sua faccia tosta per diventare il cantante dei Genesis dopo Peter Gabriel. Lui chiuse gli occhi e si lanciò nel vuoto riuscendoci perfettamente. Da «A Trick of the Tail» divenne il punto di riferimento della band, accompagnandola attraverso hit e picchi di popolarità. Parliamo di brani come “Your own special way” e “…In that quiet Earth”. Poi il virus della carriera solista contagiò anche il chitarrista Steve Hackett e, dai tre Genesis sopravvissuti , nacque “…And Then There were Three” con alcuni dei brani più celebri dell’intera discografia: “Deep in the Motherlode”, “Many too many” e “Follow you Follow me”.

 

 

Alla fine degli anni ’70 Collins cambiò pelle di nuovo. Nel 1981, dopo il divorzio dalla prima moglie, arrivò l'esordio da solista su cui il musicista mise letteralmente la faccia: «Face Value» da cui prese il via un’altra storia. «In the Air tonight», «Against all Odds (Take a look at me now)», «One more night», «Sussudio», «Another day in Paradise» e «I wish it would rain down» con Eric Clapton sono solo alcuni dei titoli che lo fecero balzare in vetta alle classifiche dove rimase per tutti gli anni ’80. Nel frattempo ha continuato a inanellare successi con i Genesis di Banks e Rutherford che, tra «Invisible Touch» e «We can’t dance», sfruttarono a pieno le potenzialità commerciali del loro pop easy listening. Nel luglio ’85 suonò sul palco di Wembley come batterista dei Led Zeppelin rimasti orfani di John Bonham. Poi salì sul Concorde che, dopo tre ore, lo catapultò a Philadelphia per bissare il Live Aid di Bob Geldof. Era in Paradiso.

Le tre mogli e gli altrettanti divorzi raccontano una vita privata turbolenta che lo ha trascinato nella trappola di alcolismo e depressione. Più di una volta confessò di aver pensato al suicidio. I problemi all’udito e l’intervento a una vertebra dopo una caduta gli fecero perdere la sensibilità di una mano. Ma non gli impedirono di suonare coi Genesis al Circo Massimo di Roma nel 2007 davanti a mezzo milione di persone. Sempre più malandato continua a non arrendersi nonostante gli acciacchi siano sempre più invalidanti. «Il fatto che la gente sia diventata così stufa di me non è stata colpa mia - disse un giorno - Non c’è da stupirsi che la gente abbia cominciato a odiarmi. Mi dispiace aver ottenuto così tanto successo. Non intendevo andasse in quel modo!». Phil Collins non si è mai preso sul serio. E, in fondo, non lo abbiamo mai fatto neanche noi che restiamo ad aspettare l’ennesima promessa di una reunion dei Genesis. Con Peter Gabriel, of course.

 

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