mito rock
Da Ziggy Stardust al Duca Bianco. Tutte le maschere di David Bowie
Ziggy Stardust, Aladdin Sane e Duca Bianco. E ancora detective Adler, Algeria Touchshrieck, Artista/Minotauro, Ramona Stone e Leon Blank. David Bowie è stato tutto e il contrario di tutto. Rocker, folk singer, compositore elettronico ma soprattutto musicista-attore in grado di indossare le mille maschere e i mille travestimenti che ne fecero ben presto un’icona pop. In lui arte e vita si sovrapposero perfettamente. La stessa cosa capitò con la morte nella notte tra il 9 e il 10 gennaio 2016, esattamente 5 anni fa. Con un coup de théâtre Bowie riuscì a mettere in scena la sua fine in «Blackstar», album pubblicato l’8 gennaio 2016 nel giorno del suo 69esimo compleanno. Solo due giorni prima di morire. L’ultimo video «Lazarus» lo ritrae bendato e steso su un letto. Mentre indossava la sua ultima maschera. «Ha sempre fatto quello che voleva - disse il produttore e amico Tony Visconti - E voleva farlo a modo suo, al meglio. La sua morte non è stata diversa dalla vita: un'opera d’arte. Ha fatto “Blackstar“ per noi, è stato il suo regalo d’addio».
Prima di «Lazarus» altri travestimenti lo hanno accompagnato attraverso cinquant’anni di musica. Per i fan Bowie è stato innanzitutto Ziggy Stardust, giovane rockstar e privilegiato trait d'union tra gli «infiniti» uomini delle stelle e gli abitanti della Terra. I suoi costumi sgargianti e le continue metamorfosi lo lanciarono ai vertici delle classifiche mondiali con «The rise and fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars», pietra miliare della scena glam rock. Sul palco metteva in scena una sorta di teatro-musica su cui si sentiva forte l’influenza del mimo Lindsay Kemp. Erano i primi anni ’70 quando Bowie fece il balzo definitivo verso l’Olimpo del pop. Ma le stelle e lo spazio avevano segnato il suo destino fin dagli esordi. Nel 1969 il primo singolo di successo fu la leggendaria «Space Oddity» che divenne anche colonna sonora della missione Apollo 11 e accompagnò lo sbarco dell’uomo sulla Luna. Ben presto, però, l’identificazione con Ziggy Stardust cominciò a sfiorare la schizofrenia e Bowie ne annunciò il ritiro dalle scene all’apice del successo.
Da allora si aprirono nuove stagioni che lo videro attraversare le californiane suggestioni funk e soul e il krautrock teutonico durante la permanenza in Germania. È qui che nacquero gli album della trilogia berlinese e si affermò la maschera del Duca Bianco, uomo nobile ed emaciato con tendenze destrorse e simpatie per l’occulto e l’esoterismo di Aleister Crowley. Le collaborazioni con Brian Eno e la convivenza con Iggy Pop contribuirono a creare un nuovo sound svincolato dalle suggestioni glam.
Gli anni ’80 furono segnati dalle collaborazioni con Nile Rodgers, Mick Jagger, Robert Fripp, Pete Townshend e Queen in «Under Pressure» che sarebbe diventata presto un inno generazionale. Il ripiegamento pop di brani come «Let’s Dance» contribuì a confermare il suo ruolo di star planetaria. Le maschere di Bowie trovarono perfetta accoglienza anche sul grande schermo. Tra le sue pellicole più celebri «L’uomo che cadde sulla Terra», «Christiane F. - Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino», «Miriam si sveglia a mezzanotte», «Furyo», «Absolute beginners», «Labyrinth», «L’ultima tentazione di Cristo» e «Fuoco cammina con me» di David Lynch.
Poi l’esperienza con i «Tin Machine» che aprì le porte alle sperimentazioni elettroniche degli anni ’90 e alle personalità multiple portate in scena da «Outside»: il detective Adler, Algeria Touchshrieck, l’Artista/Minotauro, Ramona A. Stone e l’outsider Leon Blank. Il matrimonio con l’ex modella somala Iman Mohamed Abdulmajid chiuse per sempre la parabola sul gossip della sua bisessualità. Fino a «Blackstar», l'atto finale. «Il giorno in cui è morto è successo qualcosa / Lo spirito si alzò di un metro poi si fece da parte / Qualcun altro prese il suo posto e gridò coraggiosamente / Sono una stella nera».