40 anni dopo
"Lucio? Era un piccolo imperatore". Ricky Portera svela il vero Dalla
Ricky Portera ha suonato la chitarra con Lucio Dalla per 33 anni. L’ha seguito ovunque, accompagnandolo nel passaggio al grande successo. Dai piccoli teatri al pieno degli stadi. Nelle sue parole il grande amore e la riconoscenza infinita per un mentore, un maestro, un padre e un amico. Ora esce «Dalla - 40th Anniversary - Legacy Edition», edizione rimasterizzata dell’omonimo album pubblicato esattamente 40 anni fa. Il cofanetto è disponibile in due edizioni: cd e booklet e versione in vinile con foto di Camilla Ferrari.
Ricky Portera, chi era Lucio Dalla?
«E’ stato un padre, un insegnante, un mentore. Ho passato più tempo con Dalla che con mia mamma e mio papà. Artisticamente tutto quello che so l’ho imparato da lui. Quando salgo su un palco o devo parlare penso a lui. Mi ha insegnato a vivere da artista: quello che devo e, soprattutto, quello che NON devo fare. Ancora oggi vivo con i suoi insegnamenti e, più passa il tempo, più si rivelano veri. E’ stato un modello e lo porterò sempre dentro».
Cosa ricorda del giorno in cui l’ha incontrato?
«Era il 27 dicembre 1977. Avevo 23 anni ed ero un povero studente di Medicina con qualche esperienza musicale e il progetto di diventare neurologo. La mia agenzia mi disse che Dalla stava cercando un chitarrista. Mi feci coraggio, mi vestii da fighetto e, con due compagni di università, lo andai a trovare dopo un concerto vicino Modena. Entrai in camerino e mi presentai. Sulle prime lui non disse nulla e io rimasi impietrito. Avevo un timore reverenziale immenso perché Lucio aveva la capacità di farti sentire un dio e il peggiore degli uomini. Dopo attimi infiniti ruppe il silenzio e mi disse: “Abito in via delle Fragole 15. Vediamoci lì domani e facciamo le prove con la band”. Cominciò tutto così».
Dopo la trilogia che si concluse con l’album «Dalla» arrivò il grande successo. Com’è cambiata la vostra vita?
«Eravamo abituati a suonare in piccoli teatri dove pioveva dentro. A volte poteva capitare che ci tirassero sassi o spaccassero le chitarre. Ricordo che al Castello Sforzesco arrivò una molotov sul palco. Erano anni terribili. Poi all’improvviso arrivò il successo. Non ci sembrava vero ma riuscivamo a riempire gli stadi. “Banana Republic” fu il momento della vera consacrazione. All’inizio lo proponemmo a Lucio Battisti ma lui rifiutò e allora venne coinvolto De Gregori. Da quel momento diventammo divi. Lucio divenne un piccolo imperatore, come lo chiamavo io scherzosamente. Aveva forme di egocentrismo e narcisismo e non si faceva scrupoli a manifestarle».
Qual era il segreto della musica di Lucio Dalla?
«Aveva trovato il momento giusto in cui il pubblico sentiva un forte bisogno di aggregazione. Quando facevamo il soundcheck sentivamo la gente che urlava dopo ogni nota. Lucio era un grande stimolatore di emozioni. Ed era un musicista-regista. La sua musica va ascoltata a occhi chiusi per entrare nel film che racconta attraverso le parole».
A proposito di registi, è appena uscito il nuovo videoclip di «Futura» diretto da Giacomo Triglia. Come nacque l’ispirazione per una canzone così profetica?
«Una notte eravamo a passeggio a Berlino. A Lucio piaceva molto camminare di notte. Eravamo vicino al Muro e Lucio decise di salire su una torretta. In cima c’era Phil Collins. Anche se di solito non mostrava emozioni, quando scese era visibilmente sotto shock. Aveva bisogno di sperare in qualcosa, di disegnare un progetto per il futuro. E così nacque il testo di Futura».
Qual è l’eredità di questo album?
«"Dalla" è un disco senza tempo. Lo potremo riascoltare tra 50 anni e ci susciterà le stesse emozioni. Spero che Lucio riceva ciò che merita: una collocazione nei libri di scuola. Dovrebbe essere studiato accanto ai grandi poeti e ai grandi musicisti d'Italia».