
Garlasco, "minchiate" e "pirlate": quei dettagli sottovalutati che hanno riaperto il caso

«Te pensa che con quello che c’è nelle carte... direttamente il pm ha detto che è una cosa... ce l’ha già detto che è una mezza minchiata e ce l’ha detto in faccia a me... ai due avvocati... quindi ce l’ha detto... ce l’ha detto lui... loro stessi». È in queste parole di Andrea Sempio, intercettato il 21 febbraio 2017 mentre parla con il padre Giuseppe, che è racchiuso il senso dell’indagine lampo sul delitto di Garlasco, aperta come atto dovuto dall’allora procuratore capo di Pavia, Mario Venditti, e archiviata in poco più di due mesi senza che all’indagato per l’omicidio di Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007, fosse stato nemmeno richiesto il Dna, che la difesa del condannato Alberto Stasi, in una consulenza genetica, aveva individuato sulle unghie della vittima.

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Oggi la nuova indagine, voluta dall’attuale procuratore capo Fabio Napoleone che coordina il fascicolo del sostituto Valentina De Stefano e dell’aggiunto Stefano Civardi, si arricchisce di elementi che potrebbero riscrivere la storia di quel terribile delitto. E colpisce l’anatomia della prima inchiesta e quei guanti bianchi con cui è stato all’epoca trattato Sempio.
Dalle carte e dalle intercettazioni, infatti, trapela che l’indagato fosse molto informato sulle mosse degli inquirenti. Addirittura rassicurato sugli esiti di quegli scarni approfondimenti, tanto che è lui stesso a tranquillizzare il padre dell’intenzione della Procura di procedere con l’archiviazione, una richiesta che, in effetti, arriverà pochi giorni dopo. Quell’inchiesta è stata un atto dovuto, a seguito di un esposto presentato dalla mamma di Stasi il 20 dicembre 2016, quando aveva allegato una consulenza tecnica, firmata dal professor Pasquale Linarello, che segnalava la corrispondenza tra l’Ignoto 1 trovato sotto le unghie di Chiara e il Dna di Sempio, estrapolato da una bottiglietta d’acqua, una tazzina da caffè e un cucchiaino prelevati in gran segreto a Sempio da un investigatore privato. Insomma, un fascicolo che, per la famiglia Poggi, rappresentava l’ennesimo tentativo dell’assassino di mistificare la verità giudiziaria, ricostruita, con troppi punti oscuri, dopo le assoluzioni in primo e secondo grado, nella sentenza della Cassazione che ha condannato Stasi a 16 anni di carcere.

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Nei due mesi dell’indagine del 2017 i Sempio sono stati intercettati. Ore di conversazioni, alcune delle quali presentano anche incongruenze rispetto a ciò che è messo a verbale. Come l’abbaglio sullo scontrino del parcheggio di Vigevano delle 10.18 del 13 agosto 2007, conservato da Sempio per 14 mesi e consegnato nel 2008 come alibi, quando l’orario della morte di Chiara era fissato tra le 10.30 e mezzogiorno, prima di essere modificato tra le 9.12 e le 9.35 in modo che calzasse a pennello con l’unico buco di Stasi di quella mattina. «Ne abbiamo cannata una, che io ho detto che lo scontrino era stato ritrovato dopo che ero stato sentito, che tu hai detto che l’abbiamo ritrovato prima», diceva Sempio al padre subito dopo l’interrogatorio del 10 febbraio 2017, quando gli chiedono conto anche delle celle telefoniche che lo piazzano a Garlasco e perfino di dove fosse prima delle 10, visto che il genitore garantisce che era a casa con il figlio ma Sempio non ricorda di dove fosse il padre. Senza contare le sommarie informazioni sottoscritte dalla madre dell’indagato.
«Quella là non ha detto una cosa giusta, un mare di pirlate», dice Giuseppe al figlio subito dopo la performance in Procura. In quello stesso ufficio che non ritenne rilevante chiedere all’indagato di sottoporsi al tampone salivare, per prelevare il Dna e verificare davvero se la consulenza di Linarello e tutte le carte depositate dalla mamma di Stasi fossero quella "mezza minchiata" che gli inquirenti avrebbero "detto in faccia" all’indagato e ai suoi avvocati. «Le altre decisioni che hanno preso Lovati e Soldani - dice Sempio al genitore - che a me sembravano un po’ esagerate... tipo di non dare le scarpe... comunque hanno avuto dei risultati positivi». Tanto che a fine marzo 2017 arriva la prima archiviazione, poi una seconda nel 2020. E ora la nuova inchiesta voluta dalla Procura, riaperta dopo la pronuncia della Cassazione contro i due rigetti della stessa gip.
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