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Droni, il pm indaga su altri possibili sorvoli. Ipotesi filo-russi

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L’ipotesi di altri sorvoli di droni, mentre si cercano presunti contatti tra filo-russi, italiani o stranieri, nella zona del Lago Maggiore. Sono le prime verifiche della Procura di Milano nell’inchiesta per spionaggio politico-militare aggravato dalla finalità di terrorismo, sul "giallo" del drone di fabbricazione russa che avrebbe violato, 6 volte in 5 giorni a marzo, la no fly zone sopra il centro di ricerca della Commissione europea Joint Research Centre di Ispra. Il procuratore aggiunto a capo del pool anti-terrorismo, Eugenio Fusco, e il sostituto Alessandro Gobbis con il procuratore Marcello Viola hanno delegato i carabinieri del Ros incaricati delle indagini di accertare se vi siano stati altri possibili sorvoli di droni o velivoli a pilotaggio da remoto su un’area di circa 5 chilometri sopra il maxi polo scientifico-tecnologico dell’Ue, il terzo più grande d’Europa dopo Lussemburgo e Bruxelles, nato nel 1960 per la ricerca nucleare. Un’area che copre anche stabilimenti di Leonardo, il colosso della Difesa e dell’aerospazio controllato dallo Stato. Operazioni per le quali verrà probabilmente coinvolta Enav - l’ente per l’assistenza al volo che gestisce la registrazione e l’identificazione dei droni e dei loro proprietari e ha creato la piattaforma D-flight per la gestione del traffico aereo a bassa quota di aeromobili a pilotaggio remoto e degli "unmanned aerial vehicles" (UAV) - e l’Aeronautica militare.

Il convincimento degli inquirenti è che, se fosse confermato il passaggio abusivo di un drone anche di origine russa, non potrebbe essere decollato dall’estero. Il modello associato dal software interno del captatore di JRC sarebbe quello di un apparecchio lungo mezzo metro e che viaggia ad altitudini fra i 150-200 metri, impossibilitato a lunghe percorrenze o a scavalcare ostacoli fisici come le Alpi. Più probabile che sia stato telecomandato da un raggio di alcuni chilometri- decollando dalle numerose piste di atterraggio presenti nella zona del Lago Maggiore e in genere utilizzate per testare i prototipi. È già stato sentito dagli investigatori il capo della security di una compagnia privata che gestisce la sicurezza del centro con impianti antintrusione, videosorveglianza, controllo accessi, rilevazione incendio, allarmi a diffusione sonora e una centrale operativa con 600 telecamere installate. È dagli uomini della vigilanza, infatti, che è arrivata ai carabinieri di Varese la prima segnalazione, dopo 5 allarmi, basata sui segnali captati dall’antenna del rilevatore di frequenze a bassa quota. Attraverso il software interno li ha associati a un drone di produzione russa, che tuttavia potrebbe essere stato commercializzato in Italia prima dell’embargo alla Russia sulla tecnologia dual use civile-militare. Un secondo filone dell’inchiesta, ancora allo stato embrionale, riguarda l’identità (presunta) del pilota da remoto del drone. Si sospetta che possa essere stato alzato in volo da un italiano simpatizzante filo-russo o da qualche cittadino collegato alla Federazione residente nell’area che, per tradizione, turismo e rapporti d’affari, è una delle enclavi russe in Italia. Sarebbe una riedizione della vicenda dei due imprenditori brianzoli di 35 e 63 anni indagati nel 2024 per corruzione del cittadino da parte dello straniero, aggravata dalla finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico, per aver raccolto e venduto informazioni sensibili al servizio di intelligence civile russo FSB. Sarebbero stati reclutati su Internet, pagati poche migliaia di euro in bitcoin. A gennaio il pm Gobbis ha chiesto per loro il processo.

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