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Papa Francesco, l'affollata Santa Marta o l'isolato Palazzo: tutti i dubbi sul ritorno

Nico Spuntoni
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La parola «miglioramento» continua a fare capolino nei bollettini vaticani sulle condizioni di Francesco. La situazione, tuttavia, resta complessa e continua a richiedere prudenza. Nell’unica conferenza dello staff medico al Gemelli, il professor Sergio Alfieri era stato categorico nell’affermare che il Papa «si rimetterà e tornerà a Santa Marta» dove dovrebbe essere gestita la fase meno acuta della sua polmonite bilaterale. Nonostante l’audio e la foto, in Vaticano si è meno ottimisti e non ci si spinge ancora a togliere il condizionale, ma c’è chi comincia a interrogarsi su come potrebbe essere una degenza dell’illustre (e difficile) paziente a Santa Marta. Non tutti però sono convinti che il residence vaticano possa essere il luogo più indicato per l’anziano e malato Papa. Se nel 2013 Francesco lo scelse come residenza papale per non vivere isolato nel Palazzo Apostolico, oggi questa stessa ragione è all’origine dei dubbi sulla compatibilità con la patologia che ha fatto temere per la sua vita. Il recupero, infatti, richiede proprio che il Papa sia isolato.

 

 

 

Santa Marta venne inaugurata nel 1996 da Giovanni Paolo II per alloggiare parte del personale della Curia e ospitare i vescovi in visita a Roma. Una funzione che continua a svolgere anche oggi, rendendo l’albergo un luogo affollato e non immune da rischi per chi non può assolutamente permettersi altre infezioni. Se tornerà a Santa Marta, Francesco dovrà in ogni caso cambiare le sue abitudini. Chi vive nel residence già sa che difficilmente potrà rivedere il Papa partecipare alla cena comunitaria, mentre si era già abituato a non averlo più a pranzo. Così come ci si interroga se sia il caso o meno che un eventuale recupero possa svolgersi al secondo piano dell’albergo, dove si trova l’appartamento papale con la stanza privata, lo studiolo e il salottino. In ogni caso, se il ritorno in Vaticano si concretizzerà, l’iperattivo Francesco sarà costretto a passare più tempo davanti alla finestra che affaccia sui lecci e gli olmi del giardino di piazza Santa Marta e a ridurre drasticamente il numero di persone a cui dare udienza. Uno scenario nuovo anche per il residence stesso non abituato ad avere un ospite fisso afflitto da patologie così serie: l’unico precedente è quello di un anziano nunzio in carrozzina che vi morì qualche anno fa.

 

 

 

Nulla di paragonabile a un Papa malato. Nessuno crede, invece, che Bergoglio possa scegliere di trasferirsi a Palazzo Apostolico per stare più isolato. Ma come cambierà, in caso di degenza post-ospedaliera, il suo modo di fare il Papa? Un argomento divenuto dominante in Vaticano dove sta tornando in auge tra i porporati una vecchia massima dello storico direttore dell’Osservatore Romano, Giuseppe Dalla Torre, che ricordava come «il Papa è un monarca assoluto, fonte di ogni potere e dunque le sue condizioni di salute si riversano sul governo centrale della Chiesa». Un pensiero che ha turbato la malattia di diversi predecessori di Francesco e che, ci ricorda un vescovo, Giovanni XXIII affrontava con rudezza, liquidando gli inviti dei medici a ridurre gli impegni per l’aggravarsi del suo tumore con una frase secca: «Se un Papa non può più fare il Papa, è meglio che muoia». Nel mezzo, però, c’è stato il passo indietro di Benedetto XVI per ingravescente aetate e quello opposto di Giovanni Paolo II che «non è sceso dalla croce» e a chi gli chiedeva se avesse intenzione di dare le dimissioni, rispondeva ironicamente di non sapere a chi consegnarle.

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