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Venezia, traballa l'inchiesta Brugnaro. Il dossier della difesa: "Accuse dei pm illegittime"

Rita Cavallaro
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 L'inchiesta dei pm veneziani che ha travolto il sindaco Luigi Brugnaro e il direttore generale Morris Ceron sarebbe illegittima. È quanto emerge dagli atti, depositati a conclusione dell’indagine, di quel terremoto giudiziario che vede al centro l’assessore alla Mobilità del Comune di Venezia, Renato Boraso, finito sotto la lente dei pm Roberto Terzo e Federica Baccaglini. Era il 16 luglio scorso, quando gli indagati furono dati in pasto alla stampa in una conferenza in cui l’allora procuratore Bruno Cherchi, dichiarò: «Forse (l’avviso di garanzia al sindaco, ndr) poteva anche non essere necessario, però per trasparenza dell’attività della Procura abbiamo ritenuto che fosse messo a conoscenza. Non c'è niente di segreto per cui abbiamo ritenuto di poterlo fare, nonostante non sia stato nemmeno attinto da perquisizione». Un avviso, i cui fatti contestati risalivano a nove anni fa, arrivato pochi giorni dopo la pubblicazione delle classifiche di gradimento dei sindaci, che mettevano Brugnaro ai primi posti e lo indicavano come successore naturale di Luca Zaia alla guida del Veneto. E invece i pm lo implicavano, insieme a Ceron, in una trattativa di vendita «opaca» con l’imprenditore Chiat Kwong Ching sull’area dei Pili, una proprietà che il primo cittadino aveva comprato molti anni prima di indossare la fascia tricolore.

 

Il deposito degli atti, però, racconta un’altra storia: perché non solo il sindaco e il direttore generale sono indagati in un filone diverso rispetto a quello di Borato, ma i pm, scaduti i termini dei sei mesi dell’inchiesta partita nel 2022, avrebbero continuato a indagare in maniera illegittima. La circostanza emerge dalla memoria difensiva presentata nei giorni scorsi dall’avvocato di Ceron, Alberto Berardi, con la quale scandaglia «gli errori mascoscopici» delle indagini e chiede l’archiviazione per il direttore generale, «iscritto nel registro delle notizie di reato una sola volta, il 6 aprile 2022, attraverso l’utilizzo, non previsto, dal c.p.p., di un nome di fantasia». Secondo il legale «anche in ragione di tale scelta processualmente irrituale, la Procura non ha mai sottoposto al gip, unico soggetto autorizzato a rilasciarle, richieste di proroga del termine di scadenza delle indagini, che sono dunque irrimediabilmente scadute il 6 novembre 2022», si legge.

Da quella data, dunque, Ceron sarebbe stato intercettato e sorvegliato in maniera del tutto arbitraria. Un elemento che ora potrebbe portare alla totale inutilizzabilità degli indizi raccolti a carico dell’indagato. Ma c'è di più. Attraverso un’ampia raccolta di prove documentali, come mail e reperti sequestrati durante le perquisizioni, la difesa smonta il cuore dell’inchiesta, che si fonda sulle dichiarazioni contraddittorie dell’imprenditore co-indagato Claudio Vanin, il quale è il principale accusatore di Brugnaro e Ceron. È stato Vanin a tirare in ballo il direttore generale, indicandolo come uno dei «suggeritori» di un presunto patto corruttivo, mai conclusosi peraltro, per il raddoppio dell’indice di edificabilità nell’area «I Pili» di Venezia.

 

Eppure non solo i magistrati non hanno considerato che lo stesso Vanin ha lanciato le accuse contro gli amministratori del Comune veneziano dopo essere stato denunciato, nel settembre 2021, da Ceron e dal vice capo di gabinetto di Brugnaro, Derek Donadini, stanchi delle pressioni indebite dell'imprenditore per il raddoppio dell’indice di edificabilità sul terreno. Ma hanno perfino ignorato una serie di mail di Vanin, tra cui quella del 7 agosto 2019, in cui l’imprenditore scriveva a Ceron e Donadini che «l’idea di aumentare il valore del terreno fosse stata suggerita dallo stesso Donadini, il quale avrebbe proposto l’incremento dell’indice di edificabilità per aumentare il valore del terreno da 80 a 150 milioni di euro, lamentandosi per iscritto in una mail del fatto che Ceron lo abbia sempre definito un galeotto e che solo un delinquente come Vanin poteva pensare di fare delle case ai Pili fronte raffineria! In questa versione, Vanin affermava di aver agito solo su ordini superiori, senza alcuna iniziativa propria».

Senza contare che un intervento del genere non poteva essere compiuto da Brugnaro e Ceron col favore delle tenebre, ma per ottenere il raddoppio dell’indice di edificabilità dell’area sarebbe stato necessario un processo formale che includeva almeno due delibere del Consiglio Comunale e il vaglio degli uffici ambientali Regionali e del Ministero dell’Ambiente per le bonifiche.

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