Francesca Chaouqui: "Orlandi? Il Papa non sa dov'è. Pronta ad abbracciare Becciu e ho un bel rapporto con Trump"
Potrà piacere o meno, ma è un fatto che Francesca Immacolata Chaouqui, quando parla, non lo fa a caso. Spesso nelle sue parole il confine tra il vero e il possibile è sottile quanto il muro che separa il Vaticano dal resto del mondo. E ora il suo nome, che per anni ha continuato a rimbalzare tra Oltretevere e i palazzi del potere, è tornato al centro dell’attenzione. Pietro Orlandi – fratello di Emanuela, la giovane cittadina vaticana scomparsa oltre 40 anni fa – si è detto convinto che la pr romana abbia delle informazioni cruciali sulla sorte della sorella. Ma lei giura di non sapere nulla.
Francesca Chaouqui, ma lei veramente sa cosa è accaduto a Emanuela Orlandi?
«Sapere cosa è accaduto a Emanuela e tacerlo è un reato. Non esistono segreti, neanche quelli di Stato, che proteggano da reati. Non ho mai saputo dove sia Emanuela e non condivido niente di quello che ultimamente viene fatto per cercarla».
Cosa non condivide di preciso? Il grido d’amore di un fratello che cerca la sorella da quarant’anni?
«Fermiamoci alla parola "grido", tutto ciò che non condivido è lì. Il lato e la gestione pubblica di questa storia è l’unica cosa che non condivido. Sacrosanto cercare la sorella, avere un avvocato, fui io a consigliare e presentare la Sgrò a Pietro, ma sbagliato il metodo. La narrativa attuale è: il Vaticano sa e tace. Oppure: bisogna seguire pista e metodologia che dicono loro, altrimenti chi non lo fa insabbia. Entrambe le cose sono il motivo per cui, secondo me, non si sta cercando Emanuela ma mettendo sotto accusa uno stato di occultamento di cadavere da anni ormai. Io non lo sopporto ed è il motivo per cui non riesco a dare il mio contributo operativo a Pietro, perché io invece sono certa che Papa Francesco non sappia dove sia Emanuela e che ne è stato di lei. Non sopporto la spettacolarizzazione di questa storia, ho sempre detto a Pietro che se qualcuno mai sapesse un indizio non lo direbbe con il timore di finire in un documentario o in TV».
E quindi la soluzione qual è?
«La soluzione è continuare a cercarla aprendo alla possibilità che il Vaticano non sappia dove sia, che sia un alleato e non un nemico, che io, ad esempio, non sappia niente di più che deliri riferiti de relato e comunque poi smentiti dai diretti interessati. La soluzione è anche iniziare a ragionare sul fatto, orrendo ma possibile, che una soluzione non ci sia, che le prove di dove sia non ci sono e che non si troveranno mai».
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Ma se fosse sua figlia o sua sorella ragionerebbe così?
«Non posso dirlo con precisione perché intanto non ho la forza di Pietro, non ho un quarto della sua tenacia, però la razionalità mi porta a pensare che prima o poi la parola fine vada messa. Io spero che accada, che la verità emerga, ma razionalmente mi rendo conto che è impossibile al momento: non c’è una pista solida, non c’è nessuno che ha dato un contributo per ricostruire i momenti dopo l’uscita dalla scuola. Girano le stesse cose: De Pedis, la Banda della Magliana, Londra,ma poi cosa c’è di nuovo? Niente, purtroppo».
Però ogni mistero di questo Stato in qualche modo l’ha coinvolta, perché?
«Chi lo sa… questo è un Paese che vive di convinzioni collettive. Spesso accade che la gente si confidi con me, questo è vero, so collegare bene i punti, ho avuto una formazione per tanti versi unica e quindi il mio punto di vista è diverso da quelli convenzionali. E so custodire ciò che mi viene detto. In 40 anni ho già vissuto tante vite, neanche io so fino in fondo quale di quelle che mi hanno cucito addossomi appartiene davvero».
Ecco, appunto, parliamo del personaggio. Lei gira con un bodyguard ma allo stesso tempo ha una ONG: la papessa, la Chaouqui, Francesca, chi è in realtà?
«Facciamo ordine: giro con il mio bodyguard perché aver lavorato alla missione di trasparenza del Papa mi ha reso vulnerabile, ho nemici potenti e facoltosi e anche la convinzione che, per aver tolto la mangiatoia a tanti, prima o poi me la faranno pagare. E così Pietro, da 13 anni, cerca di tenermi fuori dai guai, anche in quelli dove mi metto da sola. Per il resto, 10 anni fa ho fondato la mia agenzia di lobbying, e 5 anni fa Ripartiamo, la mia ONG: ho aperto una sede con referenti locali in 37 Paesi e ci occupiamo di una sola cosa: povertà ed emarginazione. Il modello è semplice: chi dona (spesso aziende) sceglie un progetto e dove realizzarlo, e poi invia i propri dipendenti con noi a renderlo reale e documentarlo. Charity in Action, in sostanza: aiutiamo gli altri e noi stessi consentendoci di essere utili. Poi sono moglie, da vent’anni, sono nipote di una nonna di 100 anni che vive a casa mia, sono zia dei figli delle mie migliori amiche, sono infine madre di Pietro ed Elena, la cosa più bella della mia vita».
La narrazione che c’è di lei le corrisponde? C’è qualcosa che proprio non le va giù?
«Sì, una che ho alimentato io stessa, purtroppo: sono consideratala nemica numero 1 del cardinale Becciu, la causa dei suoi guai».
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E perché non è così?
«Non è così (in parte). Innanzitutto perché io non lo odio, ho sofferto il suo odio incondizionato, avrei dato qualsiasi cosa perché mi ascoltasse e non mi considerasse un paria, come faceva all’epoca della Commissione. Io ero un commissario pontificio e lui solo il sostituto della Segreteria di Stato e non lo accettava.Mi ha sfidato e gli ho dimostrato che sbagliava a farlo, ha voluto credere che non accedessi al Papa, e ha sbagliato ancora, ma oggi darei qualsiasi cosa per sedermi con lui, abbracciarlo e aiutarlo a fargli capire ciò che di grande potrebbe fare solo lui per la Chiesa e per tutti, Francesco per primo. Al momento non vuole, purtroppo, ma io aspetto: la vita è lunga e so che prima o poi accadrà. Lui ha sbagliato tanto, secondo me, ma non è cattivo, è una persona di un’intelligenza fuori dal comune, e questa intelligenza deve essere nella Chiesa, non contro la Chiesa».
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«Amare il proprio nemico? È il Vangelo. Esiste qualcosa di più rivoluzionario?».
Sì, lavorare per Trump. Come ha fatto?
«Oh, si spiega:io ho 100 difetti ma sono brava nel mio lavoro. Stesso motivo per cui il Papa mi volle nella Commissione. Sono brava perché faccio costantemente una cosa demodé: studio e leggo ogni santo giorno, ho regole morali al limite del fondamentalismo e sono brava perché so tenere botta, essendo sopravvissuta alla campagna mediatica mai fatta a una persona perché avevo presentato dei giornalisti al segretario della Commissione Vaticana che aveva rivelato nomi e circostanze di chi rubava in Vaticano. Sono brava perché so usare le notizie, so risolvere i problemi ad essa correlati perché ho un canale diretto con quasi tutti e poi perché, avendo affrontato e superato la mia crisi reputazionale, alla fine penso di poter far superare tutto a chiunque. Cosa che faccio, in realtà, ed è il motivo per cui le mie consulenze e strategie valgono molto. Vero è che Trump e la sua fondazione sono una delle cose più belle degli ultimi anni per me, così come la sede a New York, ma nessuna forse mai sarà paragonabile al lavoro a fianco di Papa Francesco. Questa è la verità per me, purtroppo».
Perché purtroppo?
«Perché ho già visto troppo per l’età che ho per affrontare con entusiasmo anche le cose straordinarie che mi accadono».
Quindi non la entusiasma neanche il nuovo impegno a stelle e strisce?
«Altro che, anzi le dirò che ultimamente mi emoziono tanto. Per esempio, in questo periodo ho ritrovato un amico che avevo perso, forse il mio migliore amico. Risentirlo 10 volte al giorno, come se non fosse successo niente, mi ha fatto capire meglio la fragilità di chi, come me, porta addosso i segni dell’abbandono del padre: si fa fatica a superare il distacco e spesso, pur di non subirlo, si finisce per accettare tutto e perdonare troppo in fretta, forse. Speriamo di non farmi male di nuovo».
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A proposito di amicizia, più amici uomini o donne?
«Donne. Donne straordinarie come l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace o Katrine Mondadori. Ma pensi però anche che una delle mie migliori amiche è Cathy La Torre: nessun punto di incontro politico, ma amo il modo in cui posso parlare con lei. Non condividiamo niente, ma discutiamo di tutto. Mi fa capire i limiti che certa destra ha sul tema dei diritti, e io le provo a spiegare che il femminismo a slogan non funziona. Le rinfaccio che la sinistra non mi ha mai difeso quando mi davano della puttana per rendermi meno credibile. Federica,lamia capo staff, era l’assistente di Zingaretti in Regione. Se non c’è confronto non mi piace, tutto qua».
E con l’attuale governo il rapporto com’è?
«La politica rimane la mia passione. Da stratega adoro i razionali che usa la Meloni in politica estera, adoro il modo in cui ha rimesso l’Italia al centro del dibattito internazionale. Sono amica di Matteo Salvini, condivido ciò che fa al ministero (anche se vorrei che fosse agli Interni) e come sta riorganizzando il partito. Ma il mio sogno ultimamente è uno: sedermi con la Schlein e spiegarle cosa è pernicioso della sua narrazione, cosa importa davvero al Paese, cosa importa alle persone di sinistra. E vorrei farlo per una ragione: noi di destra giochiamo a porta vuota da anni ormai, e così non è divertente perché non capisco se vinciamo perché ci scelgono o vinciamo perché non c’è alternativa».
Glielo dica attraverso Il Tempo. Cos’è che davvero rovina la sinistra?
«Tre cose: La prima è ilmoralismomanettaro: questo giudizio strisciante e perbenista, come se fossero sempre su uno scranno da cui godono per le inchieste (anche se spesso finiscono in assoluzioni, come è stato per Open Arms). La seconda è la lotta per i diritti come se fossero loro i paladini di non so cosa: basti pensare che chiedono quote rosa da anni e la prima donna premier è di destra. L’ultima è la distanza siderale dai problemi reali del Paese: asili, scuole, viabilità, accesso alla formazione e al lavoro. Li senti quando esplode il caso mediatico di turno, mentre urlano “fascisti”, ma poi? Cosa fanno?».
E la destra? Tutto perfetto? O ha qualche consiglio anche per Meloni?
«Anche per la destra tre temi. Il primo è la mancanza di competenze strategiche nei vari partiti. È vero, ci sono tante brave persone super competenti, ma non bastano: le sfide sono troppe. L’IA, la salute, il digitale, il 5G, lemigrazioni, la globalità, il commercio. Servono pool di esperti e non ci sono tutti. Poi c’è il non preoccuparsi più di piacere alla sinistra e portare avanti i temi per cui vengono votati con orgoglio. E infine il mettere al centro cultura e turismo, i veri motori su cui l’Italia non ha rivali nel mondo, e valorizzarli tanto da far diventare questo settore il motore economico del Paese».
Assomiglia al manifesto di una discesa in campo. Non mi dirà che...
«Giammai, non lo farei mai. Poi perché farlo? Se do un consiglio alla politica, nel 99% dei casi viene ascoltato e realizzato, quindi il mio contributo già lo do. Secondo, io sono un imprenditore, amo creare posti di lavoro e opportunità di business. Terzo, userebbero lamagistratura per crearmi problemi, e se c’è una cosa che odio è sentirmi sotto accusa ingiustamente, avendolo dovuto già subire».
Due personaggi: uno che apprezza e uno che disprezza.
«Che apprezzo: Elon Musk. Non per i soldi, ma per la capacità di tenere in scacco con le sueidee il pianeta intero».
E uno che disprezza?
«Sandro Gozi. È il paradigma di ciò che mi fa orrore in un essere umano. Lo reputo il prodotto peggiore di quanto certa politica sia riuscita a produrre e da cui è stata capace di farci rappresentare. Fortuna che non esista più. Alcuni si domandano se sia mai esistito».
E in Vaticano?
«In Vaticano tutto bene. È curioso questo periodo: sento spesso che i più attivi al totoconclave finiscono all’ospedale o si ammalano, mentre Papa Francesco va avanti con la sua agenda e i suoi progetti».
E lei che farà?
«Io? Continuerò, se Dio vuole, a pagare 20 stipendi al mese, che è la mia priorità, mantenere 39 sedi della mia ONG, che èla seconda priorità, tenere lontano i ladri dal Vaticano, che è la terza, e trasferirmi in 5 anni in America con la mia famiglia e non fare più niente delle prime tre, tranne la ONG, che è la quarta».