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Giubileo 2025, il giorno di Papa Francesco: l'apertura della Porta santa a San Pietro

Alessandra Zavatta 

«Spes non confundit», la speranza non delude. «Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene», scrive Papa Francesco nella bolla di indizione dell’Anno Santo. In latino, la lingua della Chiesa. Alla Speranza dedica il Giubileo che si apre stasera quando a San Pietro verrà spalancata la Porta Santa. Attraversandola, ci si potrà riconciliare con Dio e con il prossimo. Passare sotto una delle quattro Porte Sante è un atto simbolico, garantisce la remissione dei peccati e l’ingresso nella vita di grazia, per mezzo della misericordia del Signore. Ma prima bisogna aver compiuto il pellegrinaggio a Roma in una delle quattro basiliche papali: San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo e Santa Maria Maggiore.

Le «porte sante» sono qui. Per ottenere l’indulgenza bisognerà partecipare alla messa ogni qualvolta ce ne sia occasione, essere sinceramente pentiti e chiedere la remissione dei peccati. Il pellegrinaggio, che può essere fatto pure in Terra Santa e nelle «chiese giubilari» nel mondo per chi non riesce a raggiungere la «capitale della cristianità», non è soltanto un viaggio, un trasferimento in altro luogo ma soprattutto un percorso spirituale. Una rinascita nella fede in Cristo. Un taglio netto con gli errori del passato e un aprirsi a ciò che Gesù riserva all’anima che si dice sinceramente contrita. E la «porta» è proprio il simbolo di questo. L’immagine fisica di quel passaggio che avviene (o comunque dovrebbe avvenire) nel cuore dei fedeli. Aprirsi alla speranza che, con Fede e Carità, rappresenza uno dei cardini delle virtù teologali, quelle che riguardano Dio e rendono l’uomo capace di vivere in relazione con la Trinità muovendo l’agire morale cristiano. Chi a Roma viene per passare nella Porta Santa con la mente da turista ben poco comprenderà del vero significato dell’Anno Santo. «Inventato», se così si può dire, da Bonifacio VIII, il Papa dello «schiaffo di Anagni» e successore dell’ascetico Celestino V. Fu l’eremita Pietro da Morrone, pontefice per appena 55 giorni, il primo ad aprire una Porta Santa, nella basilica di Collemaggio, appena fuori L’Aquila, per celebrare la «perdonanza». Cogliendo la necessità per i peccatori decisi a tornare sulla retta via di ottenere l’indulgenza. Allora non c’era ancora il Giubileo. Il primo è del 1300, voluto da Papa Bonifacio. L’ultimo è quello «straordinario» indetto proprio da Jorge Mario Bergoglio nel 2015 per celebrare il cinquantesimo anniversario dalla chiusura del Concilio Vaticano II.

Ora si apre l’Anno Santo «ufficiale», quello che si celebra ogni venticinque anni. Un appuntamento destinato a richiamare nella Città Eterna, secondo le prime stime, 32 milioni di pellegrini. Un esercito di fedeli che verrà gestito da un altro esercito, quello dei volontari, che arriveranno (anche loro) da tutto il mondo e metteranno a disposizione una settimana della propria vita per servire gli altri. C’è anche un’applicazione da scaricare sui telefoni cellulari, «Iubilaeum2025», dove trovare la carta del pellegrino e avere informazioni per fare il «giro delle Sette Chiese» e visitare i luoghi santi. Il Giubileo è una macchina operativa gigantesca che, come la speranza, non può deludere. Chi sbarca a Roma lo fa con cuore aperto e spera di trovare ciò l’anima va cercando da tempo, ciò che magari ancora non sa. Spera di essere sorpreso. Francesco lo dice in modo più semplice: «Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé». Il logo del Giubileo, quattro figure stilizzate, abbracciate l’una all’altra a seguire la Croce, rappresenta bene l’andare verso il futuro sperando sia migliore, rinnovando o ritrovando la fede. Con una guerra che dilania l’Europa e il Medio Oriente in fiamme il pellegrinaggio del Giubileo quest’anno è destinato ad acquistare un significato diverso, più profondo. Soprattutto dopo il richiamo del pontefice alla pace.

«L’imprevedibilità del futuro fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio», scrive ancora Papa Francesco. «Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. L’Anno Santo può essere per tutti occasione di rianimare la speranza». È chiaro Bergoglio quando sottolinea che «perdonare non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto» ma «può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta». C’è chi cerca l’indulgenza per i propri peccati ma non riesce a pentirsi veramente e chi invece fa fatica a perdonare qualcun altro per un torto subito. Entrambi hanno però la speranza di riuscirci. Per questo sono in cammino verso Roma. «Spem non confundit».