crisi automotive
Ma quale Italia! Stellantis "fugge" e investe in Spagna, Sanchez benedice
Sparigliare, gettare fumo negli occhi, confondere con mosse apparentemente contradditorie per portare a casa solo il proprio tornaconto. La strategia di Stellantis è sempre più chiara. Blandire l’Italia, non si sa mai arrivassero gli incentivi promessi dal governo, poi fuggire altrove con la cassa. Nel giorno nel quale la casa automobilistica di cui sono soci gli Agnelli annuncia il rinnovo della commessa al fornitore Trasnova, con i buoni uffici del ministro delle Imprese Adolfo Urso, salvando 249 posti di lavoro, arriva l’annuncio che sa di beffa rispetto alle intenzioni dichiarate (e amplificate dalla grancassa di to di Repubblica) di rimettere al centro della strategia di crescita l’Italia.
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Sì, Stellantis in attesa di rientrare in forze come promesso nel nostro Paese, ha chiuso un bell’accordo in Spagna. L’ex Fca insieme alla cinese Catl hanno annunciato un accordo per investire fino a 4,1 miliardi in una joint venture per costruire un impianto europeo di batterie al Litio-ferro-fosfato (Lfp) su larga scala a Saragozza. Un sito progettato per essere completamente neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio e realizzato in diverse fasi. L’obiettivo è di iniziare la produzione entro la fine del 2026 presso lo stabilimento che ha in loco Stellantis. L’impianto potrebbe raggiungere una capacità di 50 GWh, a seconda dell’evoluzione del mercato elettrico in Europa e del continuo sostegno delle autorità in Spagna e dell’Unione Europea. Sarà una spinta per potenziare l’offerta Lfp di Stellantis consentendo alla casa automobilistica di offrire autovetture, crossover e Suv elettrici a batteria di qualità superiore, durevoli e convenienti nei segmenti B e C con autonomie intermedie.
Un’operazione fortemente sostenuta dalla politica. Sull’investimento ha, infatti, messo il cappello il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez che ha incensato la scelta dell’azienda: «Sono molto soddisfatto dell’annuncio dell’investimento di Stellantis e Catl». Il leader spagnolo ha poi ringraziato i presidenti di Stellantis e Catl, John Elkann e Robin Zeng, «per il loro impegno nei confronti della Spagna» e «per aver scelto di puntare» sul Paese iberico «per promuovere un futuro decarbonizzato». Esattamente quello che non si si fa in Italia dove, della gigafactory simile a quella iberica da realizzare a Termoli, non si ha più alcuna traccia. Anzi l’11 giugno scorso la Acc, joint venture fra Stellantis, Mercedes-Benz e TotalEnergies per produrre batterie, ha deciso di sospendere fino alla fine dell’anno il progetto per realizzarla. Così assume il sapore tattico la dichiarazione di ieri da parte di Acc che sulla gigafactory«confermerà i suoi piani nella prima metà del 2025, forte del rinnovato sostegno strategico e finanziario dei suoi azionisti» ha spiegato una nota. Perora sul piatto resta ancora poco. Il sito molisano è infatti partito nel 2020 e dopo 4 anni si è ancora allo stato delle parole. Non così in Spagna che attende le prime batterie prodotte trameno di due anni. In attesa di capire cosa John Elkann chiederà nell’incontro al ministero di Urso previsto il 17 dicembre, la fuga dal nostro Paese continua, confermando che pur non essendo più Tavares il capoazienda il mandato a lui affidato, comprimere i costi per aumentare la massa di denaro a disposizione del gruppo per pagare lauti dividendi alla cassaforte degli Agnelli, la Exor, resta assolutamente la bussola del gruppo.
Va ricordato che la holding della famiglia in quattro anni ha riscosso cedole per 3,5 miliardi di euro sui circa 23 complessivamente pagati. La strategia resta dunque la stessa: altro che Italia, meglio andare nei Paesi nei quali il costo del lavoro e quello degli altri fattori produttivi è più basso. Così come nella scelta ufficializzata ieri. In questo senso vale la pena ricordare che la Spagna nei primi 9 mesi del 2024 ha prodotto oltre 1,6 milioni di vetture con un aumento del 2%, mentre l’Italia si è fermata a quota 453mila con un secco meno 20. Insomma lo stop ai licenziamenti va bene ma non basta. Lo ha detto perfino la Schlein che ha scoperto solo da poco che ottenere l’appoggio dei giornali della Gedi ha un prezzo troppo alto da pagare per gli operai italiani.