escluse le aggravanti
Filippo Turetta condannato all'ergastolo. Non è stato il patriarcato
Fine pena mai. Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per il femminicidio di Giulia Cecchettin, la sua ex fidanzata, uccisa con 75 coltellate l’11 novembre del 2023, a Fossò, in provincia di Venezia. La Corte d’assise di Venezia ha dichiarato l’imputato colpevole di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Cadono le aggravanti di crudeltà e stalking. Si chiude così il primo grado di giudizio di un processo lampo: Turetta aveva rinunciato alla fase dibattimentale, la sentenza è arrivata alla quinta udienza, la prima celebrata il 23 settembre. «Abbiamo perso tutti, come società», le parole di Gino Cecchettin, padre della vittima, dopo il verdetto arrivato al termine di sei ore di camera di consiglio. «Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani ha affermato- È una sensazione strana. È stata fatta giustizia, la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani - ha sottolineato - La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, concetti forse un po’troppo lontani, non con le pene. Come essere umano mi sento sconfitto».
Il padre di Giulia Cecchettin ha ascoltato impassibile la lettura della sentenza, le cui motivazioni saranno depositate entro 90 giorni. «Avrei accettato qualsiasi verdetto, ma nel momento in cui è arrivato, l’essere qui tutti, significa aver perso una battaglia, come famiglia non avremmo dovuto essere qui perché significa aver perso Giulia». Assiste impassibile alla lettura del verdetto anche l’imputato, condannato, inoltre, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e all’interdizione legale e al pagamento del risarcimento nei confronti delle parti civili: 500 mila euro al padre della vittima, 100 mila euro a testa per Elena e Davide Cecchettin, sorella e fratello della 22enne, 30 mila euro a testa a Carla Catto e Alessio Cecchettin, nonna e zio della giovane. Il pm nella requisitoria dello scorso 25 novembre, aveva chiesto l’ergastolo, pena «inumana» per la difesa del 23enne. La «colpevolezza» di Turetta, per l’accusa, «non è in dubbio: le prove sono talmente evidenti che c’è l’imbarazzo della scelta». Per la pubblica accusa, il femminicidio della 22enne di Vigonovo è stato «l’ultimo atto» del controllo che Turetta esercitava sudi lei.
Il rapporto tra i due «è stato caratterizzato da forte pressione, dal controllo sulla parte offesa, le frequentazioni, le amicizie, le uscite»: la morte della ragazza è solo l’atto che scrive la parola «fine». Un rapporto caratterizzato anche da una forte «manipolazione» da parte dell’imputato. Nell’arringa, il giorno successivo, la difesa di Turetta ha provato a smontare le accuse, tentando di evitare l’ergastolo all’imputato. I legali avevano chiesto che le aggravanti fossero considerate insussistenti e che fossero considerate invece le attenuanti generiche, «soppesate» in termini di «equivalenza e subvalenza» alle attenuanti. La difesa di Turetta ieri si è riservata la possibilità di fare appello. Per la difesa non vi era stata nemmeno premeditazione, unica aggravante che resta e che incide sulla pena inflitta. «Siamo sicuri, ogni oltre ragionevole dubbio, che quella elencazione denoti un proposito chiaro, lucido, una persistenza verso l’omicidio?», ha chiesto in aula, durante l’arringa del 26 novembre la difesa, che ha elencato i punti di quella «annotazione». «Cartina geografica per la fuga, poi vedremo perché siccome non è né El Chapo né Pablo Escobar, bisogna capire che cosa pensava di fare con la fuga Turetta, quale potesse essere la prospettiva», aveva sostenuto il legale.
L’avvocato: «Turetta è un po’ stordito. Mi ha ringraziato».