caso cecchettin

Filippo Turetta, nel memoriale il piano su Giulia: "Ho pensato che avrei potuto toglierle la vita"

"La verità è che avevo pensato che avrei potuto toglierle la vita". Alla vigilia della sentenza su Filippo Turetta, reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin, emergono gli scritti compilati nel carcere di Verona, dove è detenuto dal dicembre dello scorso anno."O lei o niente" è una delle frasi che qualche giorno prima del delitto dell’11 novembre del 2023 inizia a ronzare con insistenza nella testa del ventiduenne. "Faccio fatica a scriverlo - mette nero su bianco in carcere - perché adesso mi sembra ridicolo e brutto come pensiero, ma mi sembrava ingiusto che io avessi intenzione di suicidarmi e lei in questo non avrebbe vissuto e avuto alcuna conseguenza quando, secondo me, quei giorni - per la maggior parte - erano le sue scelte ad avermi portato a quella situazione. È veramente difficile da ammettere ma la verità è che avevo pensato che avrei potuto toglierle la vita", scriveva il giovane. "Nella mia testa non ci sarebbe mai potuta essere una persona diversa da lei nella mia vita. O lei o niente".

Di fronte al nuovo rifiuto di tornare insieme, Turetta - incapace di immaginare un dopo - si arma. "Non vedevo la minima luce a cui aggrapparmi. Lei si stava sempre più allontanando da me in quel momento e non vedevo nessuna possibile inversione di rotta all’orizzonte, anzi". L’idea di dover partecipare insieme alle feste di lauree, gli causa "un’ansia insopportabile" scrive. "Dover festeggiare ed essere partecipativo e sorridente mentre nel frattempo dentro mi sentivo vuoto e pieno solo di emozioni negative e intanto essere in mezzo a così tante persone che mi vedevano e vedevano lei e sapevano che mi aveva lasciato e vedevano lei tranquilla e sorridente e io avrei dovuto sforzarmi al massimo invece. Mi sembrava tutto così pesante e insopportabile. Troppa vergogna e difficoltà a incrociare gli sguardi di tutti senza riuscirci". La capacità di Giulia di andare avanti senza lui appare a Filippo "un incubo totale" e allora decide di uccidere.

Nessuna richiesta di perdono. "Le scuse mi sembrano così minuscole rispetto al dolore che ho causato a lei e a tante altre persone e all’ingiustizia gravissima che ho commesso. Per gli stessi motivi non ho mai chiesto perdono e non mi sentirei di farlo neanche in questo momento e non perché non sono pentito di quello che ho fatto o perché possa non interessarmi. Penso che solamente pensarci in questo momento sarebbe ridicolo e fuori luogo". 

Ergastolo o una condanna inferiore, difficilmente a meno di 30 anni di carcere. Il futuro di Turetta si gioca sulle aggravanti e in particolare su quella della premeditazione. Tutto dipenderà dalla valutazione che la Corte d’Assise di Venezia, presieduta dall’esperto giudice Stefano Manduzio, darà delle tre aggravanti di premeditazione, crudeltà e stalking, contestate dalla Procura, e della concessione o meno delle attenuanti generiche. Su questi temi si sono battuti in aula il pubblico ministero Andrea Petroni e gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera in un processo che, su sollecitazione della difesa e col consenso dell’accusa, si è svolto in sole quattro udienze senza l’ascolto di testimoni, investigatori e consulenti.

Sulla premeditazione Petroni non ha manifestato dubbi arrivando a definirla un "caso di scuola" soprattutto per la "lista delle cose da fare" che l’imputato aveva scritto e modificato più volte dal 7 novembre fino all’11 novembre 2023, giorno dell’omicidio. "Tra i beni strumentali alla commissione del reato aveva previsto: di acquistare una cartina geografica per la fuga; di recuperare uno zaino grande; di procurarsi dei coltelli, uno trovato nello zaino e l’altro in un astuccio rosso sulla Grande Punto; di effettuare il pieno di benzina per la fuga; di munirsi di scotch, prelevare denaro contante per non utilizzare metodi di pagamento elettronici evitando di essere tracciato negli spostamenti; di preparare le provviste utili alla fuga, sacchi dell’immondizia per coprire il corpo di Giulia, la corda per legarla, un calzino inumidito per farla tacere". Sempre nell’elenco, e ciò a dimostrazione di una ferma intenzione di uccidere secondo il pm, Turetta annota le "modalità esecutive": "legare caviglie, sotto e sopra ginocchia, bloccare la portiera della Punto, silenziarla puntando il coltello, applicare nastro adesivo in bocca, mani, caviglie, ginocchia". La volontà di ammazzare Giulia non recede nemmeno dopo che lei lo invita a incontrarsi, il 9 novembre. Nella lettura di Petroni "il momento in cui pianifica ed esegue l’omicidio è perfettamente coerente con le sue ossessioni, le sue idee e in ultima analisi con gli eventi che danno origine a una reazione aggressiva ma ponderata confluita nella meticolosa ideazione dell’omicidio".

Caruso ha ribattuto che "se c’è una personificazione dell’insicurezza, dell’indecisione e della mancanza di personalità, quello è Filippo Turetta: è insicuro se fare gli esami universitari, se riprendere a giocare a pallavolo, se Giulia è ancora innamorata di lui. La premeditazione non c’è perché non si osserva una volontà costante di uccidere". Anche la "lista delle cose da fare" viene letta dal professore di diritto penale come una dimostrazione della non premeditazione. "Calzino umido in bocca, togliere le scarpe, legare caviglie sotto e sopra ginocchia, chiudere porta dell’auto. Sono elenchi di chi vuole uccidere? Chiudere la porta perché non scappi una persona morta?. Il pm dice che voleva sequestrarla per poi ucciderla, facendo un salto storico e facendogli fare due parti ’in commedia', o voleva sequestrarla o voleva ucciderla. Non è una premeditazione, è piuttosto un ’vediamo come va'".