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Lo Stato delle Cose, la Cgil e la truffa delle pensioni: Landini non tira fuori un euro

Gaetano Mineo
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 La Cgil come Ponzio Pilato. Il sindacato di sinistra, attraverso le parole di Susanna Camusso - a suo tempo - e Maurizio Landini - appena subito dopo aver occupato la poltrona da segretario - hanno disconosciuto qualsiasi legame con le attività del patronato Inca-Cgil di Zurigo dove circa 400 cittadini italiani residenti in Svizzera sono stati truffati, perdendo le loro pensioni dopo decenni di lavoro. Come dire, il danno e la beffa. O, come dicono i partenopei, cornuti e mazziati. La vicenda, che affonda le sue radici nei primi anni 2000, ruota attorno Antonio Giacchetta, ex direttore della sede dell’Istituto Nazionale Confederale di Assistenza-Cgil a Zurigo, accusato di aver orchestrato una frode ai danni proprio dei pensionati italiani. Una storia eclatante per portatare conseguenze, sulla quale ha acceso i riflettori la trasmissione di Raitre, «Lo Stato delle Cose» (stasera alle 21.20), di Massimo Giletti.

 

L’inchiesta di Alessio Lasta fa emergere documenti inediti e testimonianze che mettono a nudo questo sistema che regnava nella sede elvetica dell’Inca-Cgil. Per meglio capire, in Svizzera, i lavoratori che vanno in pensione hanno due opzioni per ritirare i contributi accumulati durante la loro carriera lavorativa: ricevere una rendita mensile oppure incassare l’intero ammontare in un’unica soluzione. E i pensionati truffati, si affidavano all’Inca-Cgil per sbrigare le pratiche burocratiche e garantire l’erogazione della rendita mensile. Tuttavia, Giacchetta, approfittava della fiducia accordatagli: munito di una serie di documenti firmati dalle ignare vittime, dichiarava alle casse pensionistiche svizzere che i beneficiari desideravano l’intero montante contributivo, che veniva poi versato su un conto corrente intestato all’Inca-Cgil presso il Credit Suisse. I fondi accumulati – quasi 35 milioni di franchi svizzeri–non venivano mai trasferiti ai pensionati, i quali invece ricevevano soltanto la mensilità come da loro scelta. E, intanto, Giacchetta alimentava il conto corrente dell’Inca-Cgil per milioni. Questo sistema crollò quando gli investimenti rischiosi effettuati con i fondi dei pensionati portarono a ingenti perdite. Non solo, ma lo stesso Giacchetta, in un interrogatorio, dichiarò che il denaro era stato speso anche in acquisti personali, per pagare prostitute e cure mediche a familiari. Da qui al fallimento dell’Inca-Cgil il passo è stato brevissimo.

 

Che fa ora Giacchetta? Dopo essere stato arrestato per truffa aggravata e appropriazione indebita - successivamente condannato in primo grado a 9 anni di reclusione, la pena fu poi ridotta a 7 anni e 3 mesi in appello - oggi l'ex direttore Inca-Cgil è libero e addirittura lavora come consulente finanziario per una società fiduciaria a Zurigo. Che fine hanno fatto invece i pensionati truffati? A oggi non hanno avuto un euro dall’Inca-Cgil. Anche perché è fallita. Quindi scrivono a Maurizio Landini, essendo Inca-Cgil, dicendo, in sostanza, vogliamo i soldi delle nostre pensioni che ci hanno derubato come da sentenza. Non solo. Un pensionato, Cosimo Cavello, incassa un verdetto favorevole, avendo il Tribunale di Roma, condannato l’Inca-Cgil al pagamento di poco più di 349mila euro. Ma ancora, nessun euro è arrivato al pensionato, perché la Cgil - che per spirito di servizio tutela lavoratori e pensionati-ha fatto ricorso. Motivo: «Il patronato Inca-Cgil di Zurigo avrebbe operato come associazione autonoma non collegata all’Inca italiana». Entro l’anno, dovrebbe arrivare la sentenza.

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