Nomenclatore tariffario, la sanità in allarme: “Il governo riveda i tagli. Così il privato va in crisi”
Mondo della sanità in allarme per il nuovo nomenclatore tariffario che entrerà in vigore il prossimo primo gennaio e che in alcune Regioni, per esempio la Puglia, potrebbe essere valido a partire già dal prossimo primo dicembre. «Con i tagli alle tariffe per visite ed esami previsti nel nuovo nomenclatore tariffario - ha dichiarato ieri il presidente dell’Unione nazionale ambulatori, poliambulatori, enti e ospedalità privata, Mariastella Giorlandino - parliamo fino al 38 per cento su prezzi fermi da 30 anni, noi strutture del privato accreditato rischiamo di chiudere e si creerà anche un buco nei bilanci delle Asl pubbliche». Con ribassi che arrivano fino al 200 per cento in alcune di quelle che vengono considerate «prestazioni critiche» c’è il concreto rischio che la maggior delle strutture private siano impossibilitate a erogare la prestazione e dunque i pazienti verranno indirizzati nelle strutture pubbliche, già gravate dallo smaltimento delle liste di attesa. «I fondi per la sanità vanno trovati eliminando altre spese del Sistema sanitario nazionale. Un elettrocardiogramma, con medico e infermiere, rimborsato a 17 euro - ha aggiunto il presidente di Uap, Giorlandino - non è possibile. O si torna a guardare negli occhi il paziente o qualcuno si deve fare un esame».
Non bisogna dimenticare che il privato accreditato esegue il 58,7 per cento di tutte le prestazioni specialistiche sul territorio nazionale. Sempre restando sui numeri le strutture che rischiano di chiudere sono 27.000, con una potenziale perdita di oltre 350.000 posti di lavoro. Ha espresso timore pure il vicepresidente di Unindustria sezione sanità, Luca Marino: «Non si capisce il perché di questo decreto che in molte occasioni presenta tariffe inappropriate. La specialistica ambulatoriale è un settore strategico perché sappiamo tutti che cosa significhino le diagnosi tardive. Come Unindustria speriamo - ha aggiunto Marino - in un ravvedimento sul decreto legge e sul fatto che si possa trovare una giusta via di mezzo».
Non usa giri di parole il presidente di FedrAnisap, Valter Rufini: «I grandi gruppi provenienti dall’estero hanno acquisito 3000 laboratori italiani, il tariffario ci preoccupa perché in questo settore si fanno un miliardo di prestazioni l’anno e si perde qualità. A pagare saranno i più poveri». Dure critiche anche da parte di Federbiologi, rappresentata all’Università Guglielmo Marconi, sede dell’evento organizzato da Uap, dal presidente Elisabetta Argenziano: «Ferbiologi contesta fermamente i criteri metodologici e politici utilizzati per determinare le tariffe. Infatti, le stesse sono state ricavate senza alcun riferimento ai fondamentali principi della concertazione, abolendo ogni confronto democratico con le associazioni di categoria e ignorando il supporto delle società scientifiche». Il nuovo nomenclatore tariffario rischia di avere un impatto rilevante sulle Regioni con risorse limitate o in piano di rientro, al contrario quelle finanziariamente più solide potrebbero sopperire alla carenza dei fondi integrando le tariffe. A cascata, dunque, nelle aree del Paese in cui il gap sanitario è più evidente i livelli essenziali di assistenza (Lea) potrebbero non essere garantiti.