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Usa, il cardinale Müller: "Ecco perché i cattolici hanno scelto Trump. E sui migranti basta tabù"

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La vittoria di Donald Trump porta anche la firma dei cattolici americani: il 56% di loro ha votato il tycoon. Nonostante ciò, la reazione della Santa Sede all’esito delle urne è stata tiepida. A spaventare il Vaticano è la politica sui migranti promessa dai repubblicani. Eppure, non tutti nella Chiesa la pensano così. Il cardinale Gerhard Ludwig Müller, già prefetto per la dottrina della fede, è tutt’altro che deluso dal risultato arrivato da oltreoceano.

Eminenza, si aspettava che il voto dei cattolici americani potesse contribuire a riportare Trump alla Casa Bianca?
«Sì. Era chiaro per me che la posizione sui temi etici sarebbe stata decisiva per l’elettorato cattolico perché Kamala Harris era una candidata fortemente contro la vita. Il criterio consigliato resta quello di votare politici pro-vita».

 

Come giudica la presidenza del secondo cattolico arrivato alla Casa Bianca?
«Negativamente. Non basta presentarsi come cattolici se poi si adottano politiche anticristiane».

Cosa sarebbe successo negli States se avesse vinto Harris?
«Da parte sua si è vista una tendenza al totalitarismo. Il rischio di avere uno Stato pronto a definire i confini della libertà religiosa sarebbe stato reale. Non si può governare con l’ideologia, come avrebbe fatto Harris. Lo Stato non è un’istituzione divina e noi non siamo al mondo per servirlo».

Lei ha avuto modo di conoscere il presidente eletto nei suoi viaggi in America?
«Sì, una volta circa due anni fa. Durante il nostro incontro mi ha manifestato il suo rispetto per la fede cattolica».

Il presidente eletto non è cattolico, ma lo è il suo vice J. D. Vance.
«Ho conosciuto anche lui. Mi ha parlato del suo cammino personale e della sua famiglia difficile raccontata in “Elegia americana”. Vance mi ha detto che proprio l’incontro con il cattolicesimo gli ha consentito di superare i problemi che si trascinava dall’infanzia».

 

La Santa Sede ha reagito freddamente al risultato elettorale. Parolin ha ricordato le differenze con il Papa sulle politiche migratorie...
«La Chiesa deve difendere la dignità umana di tutti gli uomini, migranti illegali compresi. Tuttavia, occorre ricordare che nessuno ha il diritto di vivere dove vuole. Intervenire sull’immigrazione illegale non è affatto contro i diritti umani».

Rimpatriare un migrante illegale è una condotta anticristiana?
«Assolutamente no. Di fronte all’immigrazione illegale, uno Stato ha il diritto di rimandare la gente nei Paesi d’origine se lì non rischiano la vita. Dobbiamo aiutare i Paesi in via di sviluppo, ma non possiamo pensare, ad esempio, che tutta la popolazione dell’Africa possa trasferirsi in Europa per risolvere i problemi. Uno Stato ha diritto di difendere le sue frontiere e ripristinare la legalità. Chi sta morendo in mare e si trova in una situazione d’emergenza va salvato, ma ben altra cosa sono le regole per stabilire un’immigrazione legale».

A proposito di Europa: il presidente italiano Giorgia Meloni ha invitato i suoi omologhi europei a non avere paura di Trump. È d’accordo?
«Molto strano che abbiano paura di Trump e non dei dittatori! Non accettano il voto di un Paese libero? Meloni ha fatto bene, ma non mi sorprende: lei è una donna molto chiara e prudente. Per questo è molto popolare in Italia».

Anche Meloni, come Trump, è stata criticata per le sue idee sull’immigrazione illegale. Lei che ne pensa?
«Il governo è responsabile del territorio italiano. Quindi ha il diritto di risolvere problemi legati all’immigrazione di massa con tutti i mezzi legali.
Ripeto: non esiste un diritto naturale a vivere dove si vuole».

Tornando all’America: come giudica l’abitudine di Trump a menzionare Dio sia in campagna elettorale che subito dopo la vittoria?
«Parlare di Dio nel dibattito pubblico non significa strumentalizzare. Preferisco rappresentanti della vita pubblica che si riferiscono a Dio nei loro discorsi rispetto a quelli che invece si comportano come se fossero Dio o come se lo fosse il loro partito».

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